Autori e data di composizione: Parole di Mogol, Musica di L. Battisti – 1971
Periodo/successo: “Anche per te” fa parte del periodo d’oro della produzione di Mogol-Battisti tanto che ai primi posti dell’hit parade di quell’anno (1971) ci sono solo le canzoni di Mogol-Battisti, interpretate direttamente da Lucio o cantate da altri artisti o complessi da lui ispirati e guidati. Da questo momento Battisti diventa uno dei grandi della musica italiana senza più appannamenti.
Commento: questa canzone mi pare anche estremamente emblematica della poetica “quotidianista” di Mogol-Battisti, capace di raccontare – senza reticenze e nei modi che sono propri di un genere spurio, miscidato, complesso quale la canzone – le pieghe più amare della nostra realtà contemporanea. Nelle strofe troviamo tre ritratti di donna “perdenti” – sinteticamente una suora, una prostituita, una ragazza madre – donne d’oggi ma anche di sempre, presentate tutte attraverso un italiano di immediata comprensibilità, quasi “televisivo”, e con una fortissima costruzione cinematografica: “una breve inquadratura all’interno della quale ogni personaggio si muove per il tempo necessario a qualificare il suo status sociale, con un tocco poetico leggero che trasforma la loro quotidianità in racconto” e poesia (cfr. Ceri 1996, passim e in particolare p.141). La canzone trova molto del suo fascino nel contrasto tra il racconto delle strofe, malinconico e in minore (da un punto di vista musicale e prosodico la strofa è una quartina estremamente regolare, ritmata in modo uniforme su uno schema AABB con rime e assonanze) e il ritornello, più mosso e vivace, capace di esprimere solidarietà alle donne raccontate attraverso la fedeltà alla propria donna, attraverso la scelta di non dissipare l’amore nell’evanescenza: io vorrei darti un attimo di gioia ma non è possibile e così anche per te faccio l’unica cosa che posso fare, resto qui a dare a lei quell’amore che ieri avrei gettato nel vento. Dunque tre ritratti di donna più una quarta che è la donna del protagonista, e complessivamente una nuova pagina di quella fenomenologia dell’amore contemporaneo che è tanta parte del canzoniere di Mogol-Battisti.
Echi letterari: Più che di echi letterari per la scrittura di Mogol-Battisti si deve parlare di una precisa e consapevole ricerca di una canzone (e di una letteratura) popolare. Dice Mogol: “la cultura popolare (e la canzone popolare) è legata all’attualità della vita: è la cultura che si mangia, che si vive quotidianamente… Io penso che ai testi delle canzoni si debba gran parte della cultura popolare… Battisti ed io abbiamo fatto della cultura popolare proponendo le nostre opere come fossero film, fotografie, illustrazioni della nostra libertà interiore… Nelle nostre canzoni si parlava del quotidiano” (cfr. Mogol-Beha 1997 pp. 43, 58, 64, 68 e Mogol-Fontana 1999, p. 20.
Un esempio per rendere immediatamente esplicito il concetto di Mogol e il suo tipo di scrittura “popolare”. Se uno di fronte ai versi di Mogol-Battisti “Ma il mio mestiere è vivere la vita, / che sia di tutti i giorni o sconosciuta” (una vera dichiarazione di poetica del duo) cita il Mestiere di vivere di Cesare Pavese o “il male di vivere” di Eugenio Montale, non solo fa un torto a Pavese a Montale e a Mogol Battisti, ma non ha capito niente né di Pavese né di Montale né di Mogol-Battisti.
Influenze sulla musica successiva La qualità poetica del testo di Mogol e la forma musicale di Battisti hanno esercitato il loro fascino su intere generazioni di cantautori italiani da Claudio Baglioni a Francesco De Gregori (che in alcune sue tournée eseguiva questo brano da solo, voce e chitarra, alla fine del concerto), da Gianluca Grignani a Eros Ramazzotti. Ma anche su un rocker quale Vasco Rossi il quale ha più volte dichiarato di aver passato giornate intere a suonare le canzoni di Mogol-Battisti.