Teatro Ciak alla Fabbrica del Vapore, inizia puntuale all’interno di una scenografia scheletrica: 3 elementi verticali nascosti da un panneggio bianco. Fino all’ultimo si cerca di cucire la relazione tra Bergonzoni e la scenografia, ma è difficile. Oltre ai 3 elementi vi sono delle tele bianche da pittore sdraiate a terra, su cui, una volta alzate, vengono proiettate delle immagini probabilmete dei suoi ultimi lavori pittorici. Anche in questo caso l’essenzialità, la relazione con il proiettore, le tele vuote, sono ottime idee rimaste a uno stato embrionale. E’ un peccato perchè contenutisticamente Bergonzoni è valido! Unisce a una carica comica una simpatia sana che non abbisogna di appoggiarsi su noiosi e troppo frequentati luoghi comuni di calvizie berlusconiane o di look alla Margioglio.
Evita l’autonarrazione, evita il racconto filologico, evita la denuncia diretta di misfatti, evita argomenti facili a far ridere come la donna e l’uomo sposati e invece si muove su una spirale surrealista di micro racconti non sense, di situazioni dell’assurdo, sfiora di poco l’essere patafisico. Il suo limite sta nell’uso di un registro troppo identico a se stesso. Se riuscisse a saltare di registro in registro come fa con le parole, avremmo davanti una personalità artistica di grande cultura ed intelligenza.
Dove i comici medi (Ale e Franz ad esempio) hanno una conoscenza dell’italiano poco approfondita, che non va oltre i 400 termini, Bergonzoni dimostra una cultura etimologica e lessicale che gli permette di eseguire uno slalom supergigante su coriandoli di parole e di significati senza mai smarrire la direzione, colpendo nel segno di chi lo ascolta.
Il suo spattacolo è capace di far ridere fino al collasso, lasciandoti in bocca il dolce di una risata pulita, dove non bisogna sentirsi in colpa per aver riso alle spalle di situazioni sfortunate come le caricature di persone obese, o deformi (Tatiana).
Nel è un ottimo spettacolo; Bergonzoni è una persona finalmente normale, molto comica e notevole sui contenuti.