nt art gallery
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Titolo mostra: BEATA SOLITUDO SOLA BEATITUDO.
Artista: Fausta Squatriti.
Testo critico: Valerio Dehò.
Periodo: dal 05.11.05 al 01.12.05
Orari: dal martedì alla domenica dalle 15.00/20.00 e lunedì su appuntamento.
Vernissage: 5 novembre 2005, ore 18.00
BEATA SOLITUDO SOLA BEATITUDO riunisce la produzione più recente di Fausta Squatriti. La mostra comprenderà varie installazioni di natura polimaterica, tecnicamente eterogenee e sviluppate su più piani. I volumi, realizzati in tufo, granito o ferro interagiscono quindi in modo dialogico con le immagini fotografiche, con i pigmenti pittorici e i pastelli su carta. Pittura, fotografia e scultura concorrono alla realizzazione di installazioni inedite e coinvolgenti, sviluppate con una ricerca formale nuova, in cui le forme classiche di dittico e trittico vengono reinventate come pagine di un libro.
Una mostra che tratta temi difficili, come si evince dalle parole della stessa artista: “[…]Per la solitudine dell’essere umano non c’è scampo, così come non ce n’è per la solitudine dei cumuli di terra, per i chilometri di tubi che percorrono il sottosuolo dei paesi ricchi, per i contenitori svuotati dalle loro bevande, per i tondini di ferro che armano il cemento delle nostre ambiziose costruzioni, per i teschi allineati e contati dopo le stragi per sapere a che punto siamo arrivati, per le assi di buon legno che servono ad erigere palizzate protettive e che poi verranno gettate, per il cuore dell’uomo che sta chiuso prigioniero nella sua corazza, nella corazza che ha costruito con la sua sublime intelligenza.
Il motto della vita monastica, “Beata solitudo sola beatitudo”, saggiamente definisce il male del vivere insieme. Peggio sarebbe non vivere insieme. Ma vivendo insieme non si raggiunge la beatitudo. Si raggiunge una peggior solitudo. Vivendo in solitudo, teoricamente si potrebbe raggiungere la beatitudo, avendo il supporto di una vita interiore che si sottrae ad ogni inquinamento esteriore. E’ la sconfitta del concetto di relazioni umane e sociali, la sconfitta del gruppo, ed è questa malinconica soluzione, visto che il vivere in gruppo si è fatto invivibile, che intendo indicare con questo mio recente lavoro.”
Dal testo critico di Valerio Dehò: “Se negli anni 90 la sua ricerca si era portata verso il mondo della natura e del rapporto distruttivo con l’uomo, con un’indagine sulla morte che non ha paragoni nell’arte contemporanea, recentemente ha indagato i luoghi abbandonati, quelle dimenticanze della società che esistono e aspettano un’altra occasione di vita.[…] Se le sue opere hanno anche un versante estremamente duro e per taluni shockante, questo accade non per una scelta di catturare l’attenzione, quanto piuttosto di verità. E la sua non è una poetica di rinuncia e di pessimismo, quanto piuttosto di sensibilità. Andare a fondo nella realtà può voler dire anche fare delle scoperte spiacevoli e inquietanti.
Il lavoro attuale, dedicato ai luoghi abbandonati, come le poste di Palermo o le cave di tufo di Favignana o un albergo-casinò in stile eclettico in Brianza, sviluppa, non solo da punto di vista tecnico, il discorso precedente, ma sposta il discorso sull’architettura e quindi nello spazio umano della rappresentazione simbolica. E’ una dimensione in cui entrano alcune tematiche dell’artista come la solitudine, che viene vista come un privilegio per poter meglio osservare e vivere con lo sguardo un mondo di presenze e di forme. Inoltre sembra anche che all’interno di questa dimensione si situi la bellezza.[…] La solitudine equivale alla bellezza come ricerca e condizione-cognizione d’alterità, ma anche di sofferenza.[…] Quindi l’artista osserva, ma non solo, perché la sua non è una posizione passiva. L’artista fa, e quindi reintroduce la sua visione del mondo nel mondo stesso. Questo è un legame indissolubile, perché la solitudine non è estraniarsi, negarsi al mondo, quanto piuttosto una forma difficile e personale di partecipazione.[…] Si avverte quindi nello sviluppo del lavoro di Fausta Squatriti una componente più sentimentale e intima, che non rinuncia alla durezza dello sguardo, ma che si avvicina ad un ideale di bellezza che è distanza e solitudine, ma anche commossa partecipazione alla contemplazione attiva del mondo.”