dal catalogo ‘arte cinetica’, intervista a getulio alviani

IMG_7764INTERVISTA A GETULIO ALVIANI // 2006

Elisa Fongaro L’arte cinetica e programmata si rivela oggi uno dei movimenti d’avanguardia più importanti degli ultimi anni: i suoi esponenti  avevano la consapevolezza di questo all’epoca in cui è sorta? 

Getulio Alviani L’avanguardia non è una intenzione: o si è nell’avanguardia perché si ha un pensiero evolutivamente avanzato rispetto a ciò che è contemporaneo, o non lo si è. L’avanguardia è stata fatta in certi momenti storici da diversi movimenti. Per essere all’avanguardia bisogna avere una visione ideativa di un mondo sempre in evoluzione.

E. F. Qual è la differenza fra gli artisti attivi nel campo dell’arte cinetica e programmata, quali, ad esempio, gli esponenti delle Nuove Tendeze, e gli altri artisti loro contemporanei? 

G. A. Per noi, ma è meglio che io parli per me, essere chiamato artista è una offesa. Si potrebbe parlare semmmai di artefice di qualche cosa di formalmente inedito. Credo sia più corretto: ideatore plastico, progetttista, studioso di problemi percettivi. “Artista” è sinonimo di mistificatore, i veri artisti sono gli attori di spettacolo che recitano fingendo sempre. Oggi l’”Arte”, figurativa e non, è diventata ricettacolo dei peggiori inetti, di chiunque non sia in grado di fare nient’altro, un impiego per incapaci velleitari e impudenti con il miraggio del successo che potrà portar loro facili, facilissimi guadagni, e per una pletora di millantatori, cialtroni, guitti, imbonitori, spacciatori di idiozie contrabbandate come “cultura”. Chi appartiene al mondo di questa cosiddetta “arte” va in cerca solo di far focalizzare su di sé l’attenzione. In questo momento in particolare, è di gran moda fare scandalo, con tutti i mezzi specie umanoidi e morbosi, perché più scandalo si fa più uno diventa e si sente un grande artista, e per essere un grande artista bisogna, con tutte le strategie possibili, costare tantissimo. Ovviamente personaggi di questo tipo possono essere chiamati “artisti”, ma non hanno nulla in comune con chi svolge un lavoro di ricerca visiva. […]

E. F. Cosa hanno rappresentato le Nuove Tendenze in questo percorso di ricerca?

G. A. Durante gli anni ‘50 nel mondo dell’arte contemporanea, sotto l’impulso americano appena rovinosamente incominciato, imperversava l’arte facile, l’”arte informale”, quella che potevano fare tutti e che in realtà tutti avrrebbero fatto anche galline, gatti e scimmiette venivano messi ad imbrattare carte e tele con risultati non dissimili dagli “artisti”.

Nello stesso periodo, in varie parti del modo (dal Brasile All’argentina, dalla Francia alla Germania, dalla Svizzera All’austria o alla Jugoslavia, da piccole città come Ulm o Chôlet, Padova o Udine a grandi metropoli come Parigi o Milano), vivono pochissimi giovani, tra di noi distanti non solo geograficamente, ma anche per estrazioni culturali e sociali. All’inizio, per lo più senza conoscerci, lavoravamo con impegno e privi di ogni volontà di clamore su problemi ottici e di percezione, sulle immagini virtuali, sul dinamismo intrinseco dell’opera, sull’intervento del fruitore, sulla luce e sullo spazio, sulla serialità, su nuovi materiali e su inedite presentazionalità del conosciuto, con alla base la matematica e le forme esatte. Il tutto condotto con uno spirito nuovo, con razionalità  e logica, in un arco illimitato di ricerche, per promuovere nuove modalità operative, diverse possibilità espressive e tutti quegli approfondimenti fenomenici, ideologici e psicologici relativi alle problematiche originate dal visivo. esigenze coinvolgenti la coscienza dell’uomo, con un approccio senz’altro più vicino, per metodo di ricerca, alla scienza.

Si voleva dare all’arte un altro senso, quello scientifico e conseguentemente sociale, proprio perchè basato sulla oggettività scevra da ogni interpretazione letteraria, arte come enunciato e risoluzione di problemi plastici, sempre verificabili, per ampliare il campo della conoscenza e quindi con una forte componente didattica.

Ribadisco e voglio sottolineare che il fatto più sorprendente, unico, fu che le istanze ed esigenze di lavoro in questa direzione erano nate in luoghi assai diversi e distanti tra loro, una sorta di germinazione spontanea, un qualcosa di assai raro, senza che nessun autore conoscesse l’altro (e quando si conoscevano formavano un gruppo che lavorava, anche anonimamente, in quella direzione). Tutti con studi disparati, pochissimi provenienti dalle accademie di belle arti, ma da architettura, design, ingegneria e altro come sociologia, o con occupazioni diverse nei campi dell’industria, dell’insegnamento, dell’informazione e anche dello sport; moltissimi assolutamente digiuni d’arte e se c’era arte, quella precedente o la più prossima, era cosa assai lontana.

[…] È stato un movimento costituito da giovani come ho appena detto, sorto in forma spontanea in varie parti del mondo, ma a coagularlo e a renderlo tale è stato, alla fine degli anni ‘50, Almir Mavigner, un ragazzo brasiliano, aveva vinto una borsa di studio per frequentare L’hochshule für Gestaltung di Hulm, che si mette a girare l’europa per scoprirne il passato e il suo futuro, e casualmente o meno trova e poi cerca chi lavorava con le sue stesse idee, ma sempre con intendimenti e risultati plastici diversi, diversissimi perché l’ideazione di inediti era una delle prerogative base del nostro operare.

A Zagabria dove c’era già stato il gruppo Exact 51, nella Jugoslavia di allora (paese non facile da raggiungere ma con idee e istanze vicine alle nostre; più precisamente le nostre erano assai prossime a quelle dell’europa dell’est, della mitteleuropa) per un insieme di fattori concomitanti mavignier, oltre a picelj trova Božo Beck direttore della gallerija suvrememene umjetnosti, Kelemen, Putar, Meštrović e qualche altro con i quali programma e organizzerà in quella galleria pubblica una mostra di tutti quelli che avevano conosiuto e che avevano idee affini ma risultati estetici differenti, anche se sempre accomunati dal rigore costruttivo.

E. F. Quali sono i grandi pregi del gruppo delle Nuove Tendenze?

G. A. Non andavamo contro nessuno, ma usavamo tanti non.

Non culto della perosnalità, si preferiva l’anonimato;

non protagonismo;

non commercializzazione;

non gallerie private, ma solo istituzioni culturali pubbliche;

non arte elitaria;

non feticismo;

non opera unica, ma inizio del multiplo per uno scopo sociale;

non iinterpretazione;

non metafora;

non mistificazione;

non strategie;

non…

Tutte queste cose le sentivamo sbagliate e non volevamo fare quegli errori… tutto ciò ce lo dicevamo per noi. Quello delle Nuove Tendenze era un sistema assai innovativo in tutto, ed è anche per questo azzeramento di tanti vecchi valori che erano dell’arte sino a quel momento, che ci furono mostre chiamate ‘nul’ o ‘zero’ specie in Nord Europa dove le cose erano più ortodosse. I primi anni furono, come tutte le cose iniziali, il meglio. Pieni di ideali e proiezioni verso un futuro vicinissimo che sembrava di toccare, un futuro diverso fatto di scoperte che davano alimento per ricercarne altre, un futuro che potesse trasformare il mondo, meglio pensando che il mondo potesse vedere in noi qualche cosa di indicativo da prendere come esempio; e noi vedevamo il mondo in una prospettiva dinamica per una totale evoluzione culturale e sociale e lo vivevamo così attraverso i principi e i parametri del fare di quest’arte innovatrice.

E. F. Ed ora che cosa rimane delle Nuove Tendenze?

G. A. Negli anni a seguire, purtroppo diversi protagonisti che avevano dato vitalità alle Nuove Tendenze, sono rientrati nei ranghi e altri hanno abbandonato. Era abbastanza difficile e faticoso misurarsi continuamente con il bisogno di raggiungere nuovi record, ma per i più, per i migliori, lo spirito è rimasto identico e ci sono stati ancora dei lavori di ricerca esemplari. […]

E. F. Prima ha affermato che chi faceva parte del gruppo Nuove Tendenze lavorava con senso etico attraverso l’assunzione di comportamenti rigorosi. Tutto ciò comportava anche una responsabilità politica?

G. A. Senz’altro! Alcuni come appunto Massironi e il gruppo N di Padova, erano molto politicizzati. Ma più che parlare di senso politico parlerei di senso comportamentale, perchè la politica è una derivazione del comportamento, ogni azione, cioè, deve essere degna di esistere per risolvere dei problemi e per far bene a se stessi come agli altri in egual misura.

E. F. L’esistenza è fatta di materia, di regole, di strutture, di condizioni precise, però è anche fatta di elementi aleatori, di sentimenti, di sensazioni indecifrabili, non codificabili. Com’è ricercato tutto questo in un’opera cinetica?

G.A. Le nostre opere hanno anche queste componenti, ma non perchè devono essere il ritratto della vita, ma perchè tutte le cose valide hanno tutti gli elementi che hai detto. In un’opera visiva realizzata in modo che cambi a seconda del punto di vista da cui è guradata, allo spostarsi dello spettatore cambia l’inclinazione della luce sull’opera. L’infintà dei punti di vista delle opere cinetiche è proprio la risposta a questa domanda. In un’opera è insita in sé ogni problematica, se è cinetica è chiaro che deve muoversi, essere dinamica o cambiare a seconda dei punti di vista. Se è strutturale quella struttura deve essere tale. Per noi la luce è la luce vera e non la metafora o il ritratto della luce. […]

E. F. Riguardo al concetto di bellezza. È giusto dire che nell’ambito dell’arte cinetica la bellezza è data  dalla semplicità, dall’essenzialità e dalla “purezza”, tutti elementi estetici ottenuti con un rigore scientifico?

G.A. La bellezza è la mancanza di errori e difetti e l’intelligenza cerca di eliminarli. L’intelligenza sta nel capire il perchè delle cose. Nella vita si cerca di fare meno errori possibili e arrivare a quella semplice equazione che è la bellezza, ovvero meno errori e meno difetti. Quasi tutto avviene attraverso gli occhi e l’intelligenza li guida a percepire: per comprendere un’opera visuale è necessario infatti vederla. Attraverso gli occhi apprendiamo più dell’80% delle informazioni che servono al cervello per capire.

E. F. Larte visuale è un movimento internazionale. Come mai è così poco conosciuta in Italia? Dov’è il probema, cos’è che ostacola la conoscenza secondo lei?

G.A. Rispondo come rispondeva il mio vecchio amico Richard Paul Lohse quando qualcuno gli chiedeva del perché del silenzio sulle ricerche costruttive: “Tutti conoscono il mare in superficie, ne guardano le onde e il colore stando sulle navi, sulle barche, barchette e pedalò. Ma quasi nessuno conosce l’infinità di quella vita, l’immensità del mondo che c’è sotto quella superficie e i pesci che lo abitano, se non quando questi vengono pescati e messi sul mercato per poi essere mangiati”. Così siamo noi che abbiamo un mondo tutto nostro… sempre molto vitale.

E. F. Questo è un dato di fatto. Ma secondo lei perchè l’uomo è così?

G.A. Perchè è stupido.

E. F. Lei crede che sia solamente stupido?

G.A. Ma non è neanche stupido, non c’è, è assente. Impiega parti minime delle sue facoltà perché è atrofizzato, passivizzato, specie per quanto riguarda gli occhi. Noi quando facciamo qualcosa lo facciamo pensando a quello che ci potrebbe dire Josef Albers o Max Bill, non certo pensando a cosa ci direbbe uno stupido. Tutto il mondo attuale si basa sull’esistenza degli stupidi, perché è facilissimo abbindolarli! Pensa oggi agli slogan che imperversano per ottenere il consenso. Ma il consenso di chi?

E. F. Non c’è quindi una volontà di comunicare col pubblico?

G.A. Sarebbe l’antitesi dell’evoluzione: regredire ai livelli più bassi, com’è oggi il pubblico… Noi pensiamo soprattutto all’opera in se stessa, poi, è chiaro, che è diretta all’uomo, ma più come organo recettivo tecnico che come pubblico. L’uomo preferisco pensarlo come strumento tecnico di ricezione.

E. F. E non ci può essere un modo, probabilmente per pura utopia, di mantenere il livello e riuscire ad arrivare a più persone?

G.A. Tutte le persone se vogliono possono arrivare, ma manca la volontà. Tutto è teso verso la passività. E il pubblico crede invece di essere il protagonista perché tutto il “sistema” tende ad ingannarlo piacevolmente.

E. F. Dunque crede che ci sia anche una non volontà di avvicinamento alla comprensione. Crede, cioè, che sia l’uomo stesso a precludersi la conoscenza, posizione, questa, che non lo vede meramente succube di ciò che lo circonda, ma attivamente partecipe della propria immobilità mentale.

G. A. Sì, è vero, basti pensare che l’uomo medio va a cercare imbonitori e ciarlatani. Si sa che i truffatori sono persone accattivanti, ottimiste, non ci sarà mai un truffatore pessimista che dice le cose come sono. Ad un pesce non verrà mai data una pastura cattiva per farlo abboccare, ma buona, ma per l’ultima volta, perché poi non esisterà più.

Io ricordo che quando parlavo con Max Bill, quasi tutte le domeniche ci telefonavamo nel pomeriggio, di qualsiasi cosa parlassimo, mi accorgevo di ricevere un arricchimento, mi faceva sempre aprire il cervello, non per sensi magici, ma perchè ciò che mi diceva era vero. Pensa oggi come siamo lontani da questo, in un mondo in cui all’uomo quasi sempre viene precluso il conoscere. Attraverso mezzi attraenti lo si rende inconsapevolmente vittima. Perché la sopraffazione degli uni sugli altri è ritornata la forma, anche se non dichiarata, unica di esistere.

Noi realizziamo enunciati e le loro risoluzioni: se qualcuno vuole afferrarli li afferra altrimenti no. Mette in moto il cervello oppure no. La società è formata e vuole dei cretini. Oggi più che mai, perché il consumismo si alimenta di errori, è basato sulla loro esistenza. Ormai persino le scuole sono luoghi di intrattenimento. Tu mi chiedi come mai il mondo è fatto così. È chiaro: per tutto il sistema di incombenze, gabelle, inganni, imposizioni, per tutto l’inquinamento psico-fisico nel quale si è costretti a vivere, per le demagogie che non permettono neanche più di discernere. E l’andazzo è un fiume pieno di scorie. Quello che viene offerto all’uomo è materiale di scarto. L’uomo è contaminato e travolto da problemi e bisogni assolutamente inutili. Vive in un sistema malato che è stato generato dalla cattiva intelligenza di chi ci governa, ma anche da se stesso. C’è stato il momento in cui avrei voluto tantissimo che la bomba al neutrone arrivasse sulla terra, perchè penso che l’uomo adesso abbia bisogno di scomparire, io per primo. La stupidità, voglia o no, tutti l’abbiamo. L’intelligenza la si raggiunge quando si è al meglio, mentre la stupidità è quasi una costante per tutti. È il meglio che è venuto a mancare.

E. F. Lei crede che nemmeno un dolore profondo, generalizzato come può essere quello causato da  una guerra possa cambiare le sorti di questo periodo?

G.A. No, purtroppo no! Anzi oggi ne abbiamo la conferma: il mondo è capeggiato da un superpotente infame criminale che con le sue aggressioni e imposizioni sta distruggendo intere civiltà, che con le sue scandalose, spudorate menzogne ha scardinato e condizionato anche quelle poche menti potenzialmente pensanti che ancora esistono e che sta contrastando con la forza e ogni mezzo chi non si piega al suo volere. Se la giustizia fosse tale già da tempo, costui avrebbe dovuto passare dalla poltrona alla sedia, ma elettrica. E vengono chiamati a reggere le sorti del mondo individui pari alle masse dei loro simili che hanno meno quoziente intellettivo di chi un paio di generazioni fa badava alle pecore e zufolava. Questo tipo di arte invece richiede riflessione e soprattutto di non dover pensare a queste bassezze.

E. F. C’è, secondo lei, qualche altra corrente artistica contemporanea che può essere considerata intelligente?

G.A. No. L’arte visiva, l’arte esatta, l’arte di ricerca, o meglio l’arte della percezione è coinvolgente, perchè tocca principi matematici, scientifici, comportamentali e, come li hai chiamati tu, politici. E soprattutto il messsaggio che sottende quest’arte è chiaro: è quello che è. Solo negli anni Sessanta sono stati raggiunti i risultati di cui ti ho parlato fin’ora. Con quel tipo di opere è stato raggiunto il massimo. Ora, solo pochissimi si distinguono e per piccoli particolari: c’è qualcuno tra le nuove leve che lavora sulle sensazioni tattili, sui micro-shock, sulla matematica, sulla sezione aurea supportata tecnicamente dai computer, qualcuno sulla psicologia della forma e della percezione. Nessuno sarà più come Max Bill, che è stato un genio. Io lo penso sempre come il genio del nostro secolo. Attraverso il suo lavoro si può capire quello degli altri, come se fosse il metro di misura.

E. F. Che cosa s’intende, infine, per cinetico: non solo il movimento o lo scatto della retina al cambiamento di luci e colori, ma anche movimento delle idee.

G.A. […] questa è solo una parte dell’arte di ricerca in senso percettivo. E questo senso percettivo è l’acutizzazione di tutti i sensi che conducono sempre al cervello. Ho sempre pensato che la cosa più importante sia mettere in moto il cervello. Questo per me è l’essenziale delle nostre ricerche. Senz’altro le opere con i motori hanno dato più spettacolarità a questa corrente, qualche volta però hanno messo lo spettatore nella condizione di aspettarsi sempre che qualcosa avvenga invece che di indurlo a cercare.

E. F. Si tratta quindi di un’interazione tra pubblico e opera di carattere non solo mentale, ma anche fisico?

G.A. Fisico e mentale, direi, e di scoperta.

E. F. La compenetrazione tra arte e vita non esiste solo, com’è pensiero comune, nell’architettura e nel design. Come la si ricerca.

G.A. È fondamentale. La vita si realizza nel fare. Tutto deve essere necessario che esista. Se non si ha un’idea degna di esistere si deve non farla. Se si dovesse fare un tavolo oggi si dovrebbe pensare a vincere la legge della gravità per evitare che abbia ancora gambe e piani. Pensa, invece, che qualche grande architetto di gambe ne mette dodici per sostenere un “pianetto”. Dovremmo invece già essere giunti a trasformare un autobus, a farlo scomparire quando non ci sarà dentro nessuno e a riallargarlo quando sarà pieno.

Bisogna evolvere trasformando, e ambire all’essenza.  Le Nuove Tendenze hanno perseguito questo. Questi non sono che piccoli esempi, per sorridere e sdrammatizzare.

Per me, in architettura, sinonimo del fare il bene consiste nel togliere; il mio sogno è quello di poter eliminare pilastri e ancoraggi e costruire strutture fatte di energie immateriali.

E. F. Che cos’è l’assoluto nelle vostre ricerche?

G.A. L’assoluto è sempre in rapporto a qualcos’altro, come, ad esempio, può esserlo la sintesi più avanzata per la conoscenza di un fenomeno.

La bontà di un’opera è quando questa può vivere a lungo: più a lungo vive e più ha elementi che comunicano. Pensiamo a tutto quello che Max Bill costantemente comunica in relazione a quello che Vasarely costantemente impressiona per un fatto retinico (piccoli shock). Questi sono  i due poli: Max Bill apre il cervello, Vasarely sollecita gli occhi, crea un problema retinico, l’uno arriva sempre al cervello, l’altro arriva sempre all’occhio e, ogni tanto, passa dall’occhio al cervello.

E. F. È giusto dire che l’arte visuale arriva ad aspirare ad un’espressione assoluta?

G.A. Non è sua intenzione arrivare all’assoluto, di cercarlo, esso arriva spontaneamente. Non ne siamo alla ricerca, ricercare questo sarebbe come abbandonarsi alle lusinghe del protagonismo. Le opere di ricerca visuale, nella direzione  cinetico-percettiva e programmata vogliono avere una situazione di anonimia, non di protagonismo, non di personalismo, non di accentrare su di sé caratteristiche istrioniche in una parola umane: tutta l’arte è istrionica, ma questa no. Queste opere vanno sentite in un insieme di elementi dati fondamentalmente dalla visione.