Dario Fo: teatro e canzone d’arte // paolo jachia

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“Nasco / piango / grido / ammazzo / mi faccio ammazzare / faccio l’amore / rido /
mi affatico / prego / credo / non credo / crepo / ci ragiono e canto”
da Ci ragiono e canto (1966), di Fo e al.

Dario Fo nato a San Giano nel 1926 Premio Nobel nel 1997 è autore di più di 50 commedie ed ha allestito più di 80 regie teatrali, liriche e cinematografiche. E’ autore e coautore di almeno 120 canzoni. Ha inoltre presentato per la RAI Canzonissima nel 1962 (per inciso da ricordare che per le sue spregiudicate e irriverenti posizioni politiche Fo fu espulso dalla televisione di Stato e vi tornò solo nel 1977) e il Controfestival di Sanremo nel 1969. Ha anche diretto e curato (con altri) gli spettacoli musicali Ci ragiono e canto 1, 2, 3 4 (dal 1966).
Dietro queste scarne e succinte notizie (per un primo approfondimento anche bibliografico si veda almeno P. Jachia, La canzone d’autore italiana 1958-1997, Feltrinelli, 1998 e P. Jachia “Dario Fo” e “La canzone italiana” in C. Segre et al., Leggere il mondo, Mondadori, 2002 – ma non bisognerebbe mai dimenticare nella vicenda artistica e intellettuale di Fo la presenza costante di Franca Rame, sua moglie e collaboratrice) una convinzione costante, quella dell’efficacia artistica della canzone e della sua rilevanza culturale. In coerenza a ciò, Fo recentemente ha così risposto alla domanda se la canzone faccia parte della cultura e su quale sia il fascino della canzone: “La canzone è la forma prima di appoggio della voce e della poesia. Io credo che anche Dante cantasse le sue canzoni. Nel periodo romantico c’è stata una nuova moda e la canzone è diventata poesia da leggere da sola, senza l’appoggio della musica, ma non era così in antico, i greci cantavano. Poi io devo dire che non credo e non ho mai creduto e non ho mai accettato le divisioni tra cultura alta e cultura bassa. E tanto peggio per quelli che credevano di esseri ‘alti’ perché non avevano il piacere di fare canzoni. Uno che ha fatto sempre canzoni per il piacere e l’importanza di farle è proprio Jannacci” (intervista di Dario Fo a Paolo Jachia in L’isola che non c’era, ottobre 2001).
Ferma questa netta asserzione, alla luce della quale Fo ha fatto canzoni per più di cinquant’anni, e scusandomi dell’apodditticità qui necessaria per motivi di spazio, le canzoni di Dario Fo – possono essere distinte in 4 grandi filoni:
quelle scritte da Fo, principalmente con Fiorenzo Carpi, per il suo teatro e i suoi film;
quelle che a prescindere da questa eventuale precedente nascita sono state portate al successo da altri interpreti (tra i grandi nomi necessario ricordare Mina, che ha cantato almeno due canzoni Stringimi forte i polsi e L’era tardi, Ornella Vanoni per le cosiddette canzoni della malavita, Nada che è presente nell’Opera dello sghignazzo, commedia che non credo sarebbe infondato definire un musical, e poi Milly, Milva, Giovanna Marini, Laura Betti, ecc.);
quelle scritte per le varie edizioni di Ci ragiono e canto (dal 1966 al 1977);
quelle scritte da Dario Fo con Jannacci e portate al successo da quest’ultimo.

Eccedenti questa rigida schematizzazione sono quelle di intervento politico di grandissimo e memorabile successo popolare (ad esempio la ballata del Pinelli) oppure l’unicum della musica della celeberrima Via del campo di Fabrizio De Andrè (ma non si tratta di una vera e propria collaborazione: De Andrè aveva ascoltato La mia morosa la va alla fonte, una delle canzoni di Fo e Jannacci presentate nello spettacolo 22 Canzoni, di cui parleremo in seguito, basata su una musica del XV secolo, e, credendola una musica popolare, aveva ricuperato la musica e cambiato il testo) o un altro unicum, sia ben chiaro d’altro livello, ossia la collaborazione tra Fo e Giorgio Gaber che diede origine a Il mio amico Aldo.
Questa suddivisione tiene invece conto di una certa scansione cronologica ma non vuole essere rigidamente cronologica. Ad esempio è vero che Fiorenzo Carpi musica le prime canzoni di Fo, poi le canzoni della mala per Ornella Vanoni, ma in realtà ha collaborato ininterrottamente con Dario Fo dagli anni Cinquanta fino alla sua morte (1997).
Oppure: è vero che l’esperienza di Ci ragiono e canto, la prima edizione è del 1966, è precedente la grande collaborazione con Jannacci (il cui climax va dal 1964 al 1968) ma è vero anche che questi spettacoli (Ci ragiono e canto 2,3,4) proseguono anche dopo.
E, se è vero anche che la collaborazione con Jannacci ha avuto il suo apice nel periodo ora ricordato e negli spettacoli e nei dischi di quegli anni (22 canzoni, Il teatro di Jannacci, La Milano di Jannacci), è vero anche che essa è proseguita, certo in maniera più episodica, fino ad oggi mentre l’esperienza di Ci ragiono e canto si è chiusa invece definitivamente negli anni Settanta. Fermo tutto questo, utile per precisare l’esordio cantautoriale di Dario Fo riportare qualche parola del diretto interessato: “Le tue prime canzoni, mi pare, nascono come canzoni per teatro. E’ così? Quali sono state le prime canzoni che hai scritto? Si è vero molte mie canzoni sono nate come canzoni teatrali ad esempio Aveva un taxi nero per lo spettacolo Sani da legare del 1954 oppure Il mondo alla rovescia e Seppelliamoci per Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri del 1960… Ma ne ricordo anche altre meno note come Mamma parto vado a Voghera torno a stasera scritta e cantata insieme con Giustino Durano. Erano canzoni buffe, grottesche. Ma le prime canzoni che abbiamo fatto – io e Fiorenzo Carpi che scriveva le musiche – sono state le canzoni per Ornella Vanoni che allora era la pupilla, la ‘morosa’ di Strehler, ed era soprannominata la ‘cantante della mala’, canzoni come Hanno ammazzato il Mario in bicicletta che poi è stata ripresa da Milly e da Jannacci… e dopo ci sono anche le canzoni per Laura Betti, le ballate per il film Cronache del 1922…”.
I ricordi di Dario Fo sono esatti e segnano due costanti del teatro di Fo: in primo luogo la presenza costante – riscontrabile ad apertura di libro – delle canzoni nel teatro di Fo, l’altra che i suoi testi erano musicati da Carpi.
Riprenderemo a parlare di questa fondamentale collaborazione, ora però una bella testimonianza di Ornella Vanoni, non solo interprete del canzoni di Strehler e Fo, ma anche amata dal fondatore del Piccolo tra i cui meriti vi è anche – oltre ad aver scritto alcune importanti canzoni cantate dapprima da Ornella Vanoni e poi passate tra quelle cantate anche da Jannacci – di aver aperto, appunto sull’esempio di Bertold Brecht e Kurt Weil, il Piccolo Teatro di Milano alla canzone. Dice la Vanoni: “il mio primo recital di canzoni della mala… era il 1959. Giorgio mi disse: voglio un vestito che non ci sia… eravamo pazzi l’uno dell’altra. Insieme giravamo in cerca dei luoghi del Nost Milan, il suo spettacolo più bello… Insieme si tirava mattina con i nostri amici, Dario Fo e i maestri musicisti Fiorenzo Carpi e Gino Negri” (Corriere della Sera, 27 dicembre 1997).
Se questo il contesto artistico in cui nascono le canzoni della malavita o tout court “della mala” (qualche titolo: Ma mi e Le mantellate di Strehler-Carpi, Senti come vusa la sirena e Hanno ammazzato il Mario di Fo-Carpi), la loro principale e comune costante artistica è quella di essere canzoni “a personaggio a tutto tondo” (il Mario, l’eroe di Ma mi, le carcerate delle Mantellate, ecc.). A proposito di Ma mi, una canzone che parla di un martire della Resistenza imprigionato a S. Vittore, il carcere di Milano, c’è un piccolo mistero che coinvolge direttamente Dario Fo: “io ho trovato un’intervista dove dici che il testo di questa canzone è tuo e non di Giorgio Strehler. No, no, è sua e di Carpi, io però la cantavo… la cantavo in televisione, nello spettacolo che ho fatto in televisione prima di Canzonissima, Chi l’ha visto?, dove cantavo anche Il foruncolo”. Ricordate così, seppur sommariamente, le canzoni della mala che diverranno poi, dopo la Vanoni e Jannacci, patrimonio di tutti i cantanti d’ispirazione milanese (Milly, Maria Monti, Nanni Svampa, ecc.) possiamo passare a parlare delle numerosissime canzoni contenute negli spettacoli di Fo. Con forte semplificazione possiamo dire che esse sono di due tipi, diciamo liriche e d’amore, oppure grottesche e politiche. Un tratto comune è la dimensione materiale e carnale, tanto delle canzone d’amore quanto di quelle politiche, che ne fanno non solo canzoni fortemente innovative rispetto ai primi anni Sessanta ma di valore anche oggi. Ulteriore tratto comune è la presenza costante della musica di Fiorenzo Carpi, la cui figura è così stata ricordata dal fondatore del Piccolo (che in effetti aveva cominciato la sua avventura teatralcanora nel 1947): “Non tre ma quattro sono state le anime che hanno dato vita al Piccolo Teatro; oltre a Paolo Grassi, Nina Vinchi e il sottoscritto, il quarto nome è quello di Fiorenzo Carpi” (cfr. G. Strehler, Corriere della Sera, 22 maggio 1997). E Fo: “Carpi è stato sicuramente il più grande autore europeo di musica per il teatro… la sua maggior dote era la versatilità: riusciva a passare dal rock alla musica del 500, dal blues americano alla canzone napoletana… insieme abbiamo scritto le musiche di 47 commedie”.
Su questa attività teatralcanora di Fo s’innesta il discorso più prettamente “canzonettistico” di Ci ragiono e canto. Infatti, se tra il 1953 e i primi anni Sessanta la Compagnia Fo-Rame aveva portato in scena con grande successo diverse commedie, è da notare anche che in questo periodo si precisa non solo l’importanza di un teatro d’intervento politico ma anche l’esigenza di ricollegarsi alla cultura popolare. Determinante in questo senso la ricerca di Fo in campo etnomusicale e l’incontro con Il nuovo canzoniere italiano (nato dalle ceneri del precedente Cantacronache) con il quale organizzerà lo spettacolo teatral-musicale Ci ragiono e canto (1966). Fo conosce così l’esistenza e il valore di universo enorme di tradizioni, canti, prose d’ispirazione popolare al punto di dichiarare nel 1967: “io ritengo che a teatro tanto più si va sperimentando verso il nuovo, tanto più occorre affondare nel passato… un passato che sia attaccato alle radici del popolo. Nulla… avrei potuto fare… se prima non avessi lavorato a Ci ragiono e canto”. La vicenda di Fo s’incrocia dunque con due gruppi – Cantacronache e il Nuovo canzoniere italiano – che avevano riscoperto e reinterpretato e traevano spunto dal patrimonio folklorico nazionale. Questi gruppi – costituitisi tra il 1957 e i primi anni Sessanta e supportati da scrittori quali Calvino, Fortini e Rodari, e intellettuali quali Umberto Eco – combattevano il disimpegno canzonettistico dando voce alla cronaca e all’attualità politica. Per farlo, oltre alla ricerca etnomusicologica, gli autori di questi gruppi si avvicinarono anche agli chansonniers francesi alla Brassens, ma senza dimenticare le canzoni di Bertolt Brecht e Kurt Weill (nel repertorio “della mala” c’erano ad esempio grandi canzoni brechtiane come quella di Jenny dei pirati). In questo contesto legittimo chiedere a Fo quali fossero i suoi modelli (la canzone francese, la canzone brechtiana, quella popolare, ecc.). Questa la risposta: “Un po’ di tutto – anche il melodramma – ma specialmente le canzoni della tradizione popolare italiana: io ho rubato a man bassa, conoscere la tradizione popolare è come arrivare dentro un mare, le cose erano tutte lì, ci sono migliaia di canzoni, di ritmiche… romane, napoletane, lombarde, e non le ricordava più nessuno, bisognava cercarle; pensa solo alle migliaia di canti a dispetto che ci sono nella tradizione toscana, ho trovato dei libri dove ci sono delle chiavi… Bastava raccogliere questo materiale, come abbiamo fatto con Cantacronache e per Ci ragiono e canto, e si aveva a disposizione una quantità di materiale da stordire: bisognava solo scegliere e scartare… Tra le canzoni che ho fatto – testo e musica – negli anni Sessanta vicine a questa tradizione c’è, ad esempio, La luna è una lampadina che cominciava in italiano e proseguiva in dialetto e che poi è stata ripresa da Jannacci”.
Con questa sintetica battuta possiamo passare a parlare del sodalizio Fo Jannacci, un sodalizio durato 40 anni (se il primo incontro data 1963, l’ultima canzone scritta insieme è del 1998). Dalla collaborazione con Dario Fo nasce nel 1965 22 canzoni, un recital storico che riscuote un grande successo e da cui viene tratto anche un disco dal vivo, uno dei primi in Italia (Enzo Jannacci in teatro), che contiene brani scritti appositamente dal duo Fo Jannacci come Ohe sunt chi; La forza dell’amore, L’Armando, Veronica, Prete Liprando e il giudizio di Dio, Il primo furto non si scorda mai, Sei minuti all’alba, La mia morosa la va alla fonte; Jannacci ricupera però anche, nei suoi spettacoli e nei suoi dischi, alcune canzoni già interpretate da Fo anni prima, come Aveva un taxi nero e Il foruncolo. Premesso che, a nostro avviso, Jannacci non è solo il più grande interprete della canzoni di Fo ma il più coerente risultato della sua poetica e della sua concezione della canzone d’arte, ricordiamo qui che cosa pensa di Jannacci Dario Fo (la dichiarazione che andremo a leggere è in realtà un autoritratto e vale a tutti gli effetti come una esplicita dichiarazione di poetica: Jannacci è infatti il “figlio” in cui Fo si è, biblicamente, riconosciuto): “Enzo Jannacci è un vero e proprio fenomeno musicale, ma è anche un uomo di scienza eccezionale, medico e filosofo. E’ un intellettuale libero, coerente, ‘engagé’, che non mai tradito le proprie idee, soprattutto la solidarietà con la gente offesa e sfruttata, classe da cui proviene… Enzo non è solo musico, è autore di musica e parole, sa dirigere un gruppo musicale, suona non so quanti strumenti e soprattutto suona a meraviglia lo strumento della propria voce e – ultimo talento – è un uomo colto e spiritoso, un umorista concreto e metafisico allo stesso tempo. In poche parole è mio figlio. Il ‘primogenito’, nato da un misterioso e non conosciuto atto generativo. Insieme abbiamo composto e spesso eseguito in coppia decine di canzoni, allestito spettacoli teatrali e televisivi… Ora parliamo di quest’ultima sua produzione. Sempre fedele a se stesso (e dunque, credo legittimo aggiungere e precisare fedele alla poetica di Dario Fo: P.J.) Enzo ci propone una serie di brani legati alla ‘propria tradizione’, come nel caso del della ballata dedicata a Cesare un partigiano il cui nome di battaglia era Garibaldi, ma soprattutto sempre attento alla contemporaneità, alla denuncia sociale e allo sberleffo nei confronti di padroni e potenti… E ancora accanto a questi brani più dichiaratamente di denuncia contro lo sfruttamento e le ingiustizie sociali… ne troviamo altri forse un po’ più melanconici e intimisti e realizzati su arie struggenti ma comunque sempre attenti alle sofferenze e alle contraddizioni della condizione umana moderna… Ancora una volta Enzo si conferma autore mordace, eccellente musicista e agilissimo interprete. Che dire di più? Lunga vita a Enzo!”.
Ricordiamo a conferma di questa comune poetica la motivazione del Nobel per la letteratura ricevuto da Fo nel 1997: “perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere e restituisce dignità agli oppressi”. Fermo sinteticamente tutto ciò, iniziamo con il rilevare la piena consapevolezza non solo pratica ma anche teorica da parte di Dario Fo, di cosa sia una canzone. La canzone è infatti, come lucidamente ed efficacemente detto da Fo, musica, parole e voce, quello che in altro contesto (cfr. i già citati Jachia 1997, 2001, 2002 cui va aggiunto Giorgio Gaber. Teatro e canzoni 1958-2003, Editori Riuniti, 2003) ho chiamato “interpretazione”; la canzone dunque è un testo sincretico, un insieme di segni e codici espressivi complesso, plurimo ma coerente. Ed è qui che nasce la possibilità per la canzone, che è sempre cultura, di essere – in casi eccezionali e comunque sempre da verificare – arte.
A ulteriore conferma possiamo ricordare quanto scrive Umberto Eco: “Non si può giudicare una canzone di Jannacci sul solo testo… e non perché, come accade per molti autori, il cantante sia più bravo del paroliere. E’ che con Jannacci si realizza una fusione quasi perfetta tra testo, musica ed esecuzione… In altri termini sarebbe far torto a Jannacci considerarlo un poeta da cantare: l’arte di Jannacci è multimediale, gioca sui tre registri della musica, della parola e della mimica” (in L’Espresso, 7 febbraio 1980).
Segnato così il centro della poetica etico-politica di Jannacci (e Fo) e la sua fondamentale dimensione ironico-sarcastica possiamo dire che Jannacci, sulla scorta proprio dell’insegnamento di Fo, fa suo il privilegio del fool shakespeariano, di dire la verità ultima sul mondo e sulla vita attraverso il linguaggio della follia, in coerenza al postulato di tutta la grande arte comica si ride e poi si pensa o, per dirlo con le parole di Fo, “rido… ci ragiono e canto”.
L’esito più alto di questa comune poetica e della collaborazione di Jannacci con Fo saranno due canzoni Vengo anch’io, no tu no e Ho visto un re, rispettivamente del 1968 e 1969. Rileggendone il testo – e ricordando che si era nel fiammeggiante ‘68 – non è difficile capire perché l’accoppiata di queste canzoni costerà a Jannacci non solo l’esclusione dalla televisione, ma una fortissima emarginazione complessiva. Il senso di queste canzoni era infatti una violentissima accusa a tutto il potere costituito Chiesa e Stato, fondato sul furto e la rapina sistematica e arrogante e sull’importanza di una risposta non solo politica ma anche artistica: “ho visto un contadino… / Il vescovo, il re, il ricco, / l’imperatore… il cardinale / … gli han portato via: la casa, il cascinale, la mucca, il violino, la scatola di scacchi, la radio a transistori, i dischi di Litte Tony, la moglie… un figlio militare… gli hanno anche ammazzato il maiale… e lui cosa faceva? Lui non piangeva, ridacchiava, anzi rideva perché… e noi villan / e sempre allegri bisogna stare / ché il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale / diventan tristi se noi piangiam!”. E’ alla luce di questa coscienza politica e di lotta alla mistificazione e alla emarginazione dei diversi e dei “poveri cristi” che va riletto anche il più grande successo politico-canoro del duo Fo-Jannacci Vengo anch’io? no tu no in tutto degno di chiudere questo rapidissimo ritratto di uno dei grandi autori della contemporanea canzone d’arte: “Si potrebbe andare tutti quanti allo Zoo Comunale / Vengo anch’io? no tu no! /a vedere come stanno le bestie feroci / e gridare: Aiuto, aiuto è scappato il leone! /e vedere di nascosto l’effetto che fa. / Vengo anch’io? no tu no! Ma perché? Perché no! (…) / Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore… / dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano, / un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore / e vedere di nascosto l’effetto che fa. / Vengo anch’io? no tu no! Ma perché? Perché no!”.