“il cattivo critico critica il poeta, non la poesia.”
ezra pound
tale ‘seimor’, iscritto su vimeo.com, ci ha mandato un messaggio, a commento dei nostri video visibili sul medesimo sito.
riteniamo interessante per i nostri lettori riportare messaggio e nostra risposta.
fondamentale, a corredo, uno stralcio dalla prefazione al nostro primissimo volume ‘fra’ giordano bruno redivivo’ in quanto crediamo che abbia assai pertinenza. pur essendo riferita ad un’opera di gaetano delli santi, il testo di muzzioli può essere tranquillamente messo a prefazione di qualunque dei nostri video.
15 gennaio 2009 18:26:09 GMT+01:00
A: info@dambrosioeditore.it
Oggetto: seimor sent you a message on Vimeo!
Passavo da queste parti. E… non sono riuscito a tacere!
Non si sa bene cosa stiate cercando di professare, ciò può esser tutto ma di certo non avanguardia! Tu o voi, di vostro, cosa state effettivamente creando o facendo? Vedo che è assente in voi l’esistere, o l’esistenza stessa che è poi quel pensiero e sono quelle parole autentiche che rivelano il sapore dolce e amaro della necessità del dire, dell’urgenza antica e sempre viva d’esprimere che non basta a contenere nè a spiegare.
Usate degli alibi, un approdo salvifico, invece di essere e mostrarvi per quel che siete, senza misura, senza vergogna di voi.
Quando sarete arrivati a capire che il silenzio è il regno più fertile del pensiero invece di voler a tutti i costi elevarvi a voler essere diversi e migliori della massa (di cui fate inesorabilmente parte) allora forse sonderete il luogo dove vivono inespressi altri mondi migliori o semplicemente diversi, delle parole non dette, la riserva di poesia dove attingere gocce di primavera per lenire gli inverni del cuore, il posto segreto dove cullare quel che è vera avanguardia. Che sia musica, che sia arte, che sia scrittura. Così impagino i miei giorni, come un libro senza trama, e se non so spiegare quel che sento so sentire quel che non si spiega. E allora, in quei momenti, il silenzio parla per me. Ed io con lui.
15 gennaio 2009 20:26:09 GMT+01:00
Oggetto: seimor sent you a message on Vimeo!
gentile ‘seimor’,
grazie per aver dedicato tempo nel ‘capitare’ dalle mie parti e, ancor di più, per esserti pure preso la briga di scrivermi.
al di là di ciò che scrivi e di ciò che pensi, la cosa ha importanza.
anzi, ti chiederei, se ti va, di postare in modo visibile a tutti il tuo commento.
ora, nel merito.
credo che la cosa più bella, nel lavoro che svolgo, sia che quando qualcuno non capisce ciò che dico, faccio o produco, mi dica: non ho capito.
ma credo che la cosa valga per chiunque.
il dichiarare di non aver capito apre un bel percorso… sì certo perchè non capire può voler dire:
-che chi si è espresso lo ha fatto non curandosi dell’ascoltatore;
-che l’interlocutore non si è curato di ascoltare;
-talvolta entrambe le cose.
dichiarare di non capire è già gesto pratico per capire.
se non altro, serve a dire, a chi sta cercando di comunicare, che qualcosa è andato storto.
ammettere di non capire non è una brutta cosa.
io, per esempio, ho riletto più volte quanto mi scrivi, e non capisco cosa vuoi dirmi, e cosa ti ha spinto a interrompere quel ‘regno più fertile del pensiero’, come definisci il silenzio. e io mi sento quasi in colpa di averti disturbato.
ciò che mi è chiarissimo è che qualcosa di ciò che faccio ti ha ‘offeso’ al punto da spingerti a scrivermi criticando non un video o una cosa specifica, o dicendo che non sei d’accordo su qualcosa.
visto che parli di ‘parole autentiche che rivelano il sapore dolce amaro’, cosa che trovi in noi assenti (più una serie nutrita di ‘gocce di primavera’, ‘inverni del cuore’, ‘impagino i miei giorni, come un libro senza trama’, insomma tutta roba da ‘vera avanguardia’) ti chiederei, se possibile, di aiutarmi a capire.
e invece di criticare il mio modo di esistere, o la mia esistenza stessa (cose completamente fuori dalla tua giurisdizione, non trovi?) ti chiedo di confrontarti su qualcosa di concreto, magari partendo dal nostro video ‘ci siamo stancati’. robettina semplice semplice, solo una piccola raccolta di brani tratti da interviste di personaggi diversi.
ma che ben rappresenta il mio pensiero.
oppure puoi sempre dire che
quello che faccio non ti piace.
questo sì che sarebbe un bel passo avanti e risolverebbe un sacco di problemi.
cordialità
fabio d’ambrosio
dalla prefazione di francesco muzzioli a ‘fra’ giordano bruno redivivo’ (gaetano delli santi, d’ambrosio editore, milano, 2001)
Chi si accosta all’opera deve, da subito, accettare una sfida.
E l’oggetto di questa sfida è precisamente la “comprensione” — che invece l’ermeneutica tradizionale presuppone come il “dato” di partenza e dunque come il fatto più scontato che ci sia. Per effetto della sfida che il testo è, ci si ritrova gettati agli estremi. Da un lato, per quanto sia ricca la competenza linguistica, i significati delle parole ci sfuggono. Diciamo che ci sono lontani, in quanto le unità lessicali sono provenienti da aree della lingua distanti nel tempo (arcaismi) o nello spazio (gerghi). Il che si riduce — in parole poverissime, che sono poi quelle della reazione abituale dei lettori — al fatto che il testo non si capisce. Non solo per il lettore-consumatore, abituato a fruizioni rapide, ma anche per il classico interprete dell’ermeneutica, il quale — si sa — pensa che tocchi alla tradizione portare il testo verso di lui. Insomma, o parla subito o niente.
Ma d’altro lato, è proprio quello che il testo di Delli Santi fa, se lo guardiamo dall’estremo opposto. Nel senso che lo capiamo benissimo, infatti: e immediatamente, per l’appunto. Basta che ci dimentichiamo per un momento del livello del significato. Potremmo dire: della mediazione del significato. Cosa dobbiamo fare, invece? Proviamo a recepirlo come gesto. Lasciamoci interessare dalla sua intonazione, dalla sua attività, dalla sua dinamica in movimento. E tutto è chiaro, fin dal principio. Il gesto testuale ci invade, ci preme e, per l’appunto, ci sfida. E, in questo, è chiarissimo: non possono esserci dubbi sulle sue intenzioni aggressive e polemiche. Possiamo difenderci da questa colluttazione linguistica e non accettarla affatto (e qui il giudizio del “non si capisce niente!” è proprio di coloro che hanno capito benissimo… e per giunta da subito), oppure trovarci a condividerla (almeno parzialmente; e anche contro noi stessi) nei suoi obiettivi e bersagli. Perché il pubblico, come in ogni avanguardia che si rispetti, ha da risultare diviso. Questo è “normale”. La chiusura è dunque una chiusura relativa, una chiusura selettiva. (…)
Francesco Muzzioli