Formidabili quegli anni, o “anni prima della distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale”, così Gunter Anders intitola il suo libro dove elenca con precisione tutti i meccanismi e le armi utilizzate da chi detiene il controllo dei media per isolare l’individuo in un recinto di paura del prossimo e amore per il mondo delle macchine.
Lo spettacolo di Casale non tiene conto di queste informazioni ed emerge invece una responsabilità dell’individuo che si è rintanato nel suo appartamento diventanto passivo rispetto al suo essere in una società.
Di certo responsabile di esserersi esiliato dal mondo della politica, responsabile di non essersi opposto alle comodità del mercato di consumo, ma anche inconsapevole delle conseguenze ben desiderate dal progresso, che vede l’essere umano unicamente come consumatore da nutrire.
Cantando e recitando la nascita del movimento studentesco in Italia, Giulio Casale porta l’attenzione del pubblico su “come eravamo belli” quaranta anni fa, riferendosi più volte al pubblico con toni poeticamente accusatori, come ha fatto nel suo recente spettacolo recitando Gaber e dando alla platea l’appellativo di “polli d’allevamento”.
Uno spettacolo sul ’68 avrebbe senso se riuscisse ad approfondire l’argomento abbastanza da fornire gli strumenti per farsi un’idea su cui riflettere, per aiutare a vedere ciò che ci sta intorno con un’altra ottica.
Durante lo spettacolo Casale interpreta brani di De Andrè, De Gregori, Guccini, che per la loro pregnanza storica non aiutano ad avere uno sguardo lucido e distante sui fatti. Sentire questi autori serve a ritornare in quegli anni, e non a uscirne rinnovati purtoppo.
Davanti al vuoto siderale dell’oggi si ha la speranza che i grandi maestri riescano per una seconda volta a smouvere la creatività e l’energia giovanile.
Risulta evidente l’urgenza per il cantante di portare al centro del dibattito sociale temi come la democrazia diretta e i crimini italiani rimasti impuniti, e il bisogno di far venire a galla verità scomode e di far parlare la gente di argomenti che sono alla base della vita civile fanno di Casale un artista “toccato” da un mandato sociale.
L’approfondimento è misurato e studiato perchè possa piacere a un pubblico diversificato. Davanti allo spavento di un passato che ci dovrebbe stimolare a un nuovo 68’(invocato a fine spettacolo con forme e modalità nuove), il cantante decide di stupire, commuovere ed emozionare. Tre modalità di trasmissione del sapere che la macchina dello spettacolo odierna necessita come lubrificante.
I contenuti forti, che richiedono un impegno quotidiano e un cambiamento di vita, sono ardui da passare in canali per il divertimento o tempo libero, a meno che non si passi per compromessi di forma e di sostanza.
Lontano dal volersi confrontare con i maestri che lui stesso ha citato, lo spettacolo si conclude con il cantante che esibisce umilmente alcuni suoi brani, importanti per riatterrare in una vita fatta di mamme, multe e ironia.
Detto questo si riconosce all’artista il merito di sostenere cause importanti, lontano dalla noiosa monotematica canzone pop italiana di oggi basata sull’amore e il tradimento.
Da notare una particolarità sul tono di voce tenuto dall’artista: nel suo precedente spettacolo, “polli d’allevamento” di Gaber-Luporini, Giulio Casale si impegnò ad entrare nel personaggio di Giorgio Gaber imitando con coerenza e maestria le sue movenze e tonalità di voce; ma in questo secondo episodio dove Gaber non è più nemmeno menzionato, il tono di voce di Casale risente ancora, e non si sa perchè, della discesa nel personaggio gaberiano.