gaspare scioppo


da Il ragionier Cecilio
ovverosia
de vanitate mundi et fuga saeculi
romanzo (inedito)
libro secondo 2002

di Gaetano delli Santi

Gaspare Scioppo
la vita eretica di un cafone mantovano del ‘600

Il ragionier Cecilio si consultò con la sua volontà e… decise di scrivere.
Due mesi avanti aveva iniziato a procurarsi materiale biografico riguardante un eretico mantovano: Gaspare Scioppo, nato a Mantova non si sa bene se nel 1558 o nel 1559. Gaspare Scioppo, detto Sfazù (ovvero sfacciato) maledett, fu contadino, e sebbene fosse un contadino sapeva scrivere e leggere, testimonianza di ciò sono numerosi testi teologici e alchemici (giunti sino a noi in versione pressoché integrale) ch’egli scrisse in toni profetici, e che gli valse nel 1601 un processo avviato dal Sant’Uffizio di Mantova, che si concluse nel giugno del 1603 con la condanna al rogo.
Ricercare notizie su Scioppo, accresceva nel ragionier Cecilio una eccitazione senza confini: su quei scarsi documenti che egli ritrovò, grazie a una assidua e instancabile volontà, fondava, respingendo ogni forma di ipocrisia che potesse confondergli il cervello rendendolo vigliacco, un’etica che si prefiggeva di lottare utopicamente la degradazione morale della sua contemporaneità.

Ed ecco dunque intento a riportare i fatti che fecero di Scioppo un personaggio scomodo alla Chiesa.

Intorno ai vent’anni -i documenti del Sant’Uffizio fanno risalire l’episodio, su testimoniaza di Scioppo, al 23 marzo 1579- «Scioppo vidde un gruosso monstro che con granne romore revoitava sottosopra il cielo. La sua vocca ingoiava i supervi e una granne moitutudine di macellari. E il monstro poi connusse in pozzo di foco quella moititudine per darla in pasto alla iustizia di lioni».
«E Scioppo (qui inizia il proseguo di quell’evento riportato da un testimone oculare Giovanni Imperiale ne’ Le notti beriche ovvero de’ discorsi di Scioppo, Venezia, P. Baglioni, 1559, p. 53) in sio animo si disse: Ti vedo in vocca un vestiame di vermi moito feroce… e ohimé che ci fa fra le tue ganasce lo puopolo di iustiziati dal trionfal latrone de’ vizi? che carne scompaginata, che sfatta ossatura inverminita, che vessica d’infermità! Deh cum non esser facilissimamente storpiati da l’urlo de le marce ciriege, e da le morte stelle che splendono laide da le poppe di damiscelle lascivite? Deh non vedi lassuso cum mal sogiorna l’ombrosa tristizia de la tua cupiditate?»

Giovanni Imperiale, nel proseguire la descrizione di ciò che accadde a Scioppo in sua presenza, ci dice che quello fu il movente che mosse Scioppo alla predicazione: «Fu cossì che a causa di quella elietta visione, Scioppo denanti a lo spirto di Dio, decise di incomenzare la sua predicazione».
Ci racconta ancora Giovanni Imperiale, che mentre Scioppo predicava (giugno 1580) a «lo sio puopolo di cafoni» fu all’improvviso preso da violente convulsioni, e nel dimenarsi in quel «luoco di corpo invischiato ne la rogna di soprassalti e strappi da basilisco iettato in temuti carboni ardenti, derobava fosche visioni a la terra su cui le banniere dell’ammasciata di Dio ergeva, urlando: Vedo cetruoli diventar perzone trepidanti nel butiro d’una l’urida fanga… mugghiar odo le tromme di putrefatti budelli… e Satanasso sega le braze d’un’homo rinegato da Dio… e crescie ne’ siroppi di medolla di cane ‘l fiato soave del Cielo: là polastri son Angeli e fasani son Arcangeli che, sobbolliti da’ lamenti de’ dannati, si fanno serpenti sciuscitati (risuscitati) da gazzose esalazioni di gioncate avariate… radata ha la crapa un homo in croce immascherato da Demonio… carne humana veggio cascare in terra dalla sua gonfia epa… ha il scossale (grembiule) pien di teste mozze… piscia et caga brutti versi… in que’ versi ho vedut indizj di Dimonio… sì, ecco il carnefice! veggo il boja… mormurazion d’ossa vomita dal suo grugno… veggo una ruga (bruco) strisciare su la sua lingua… et incontamente ecco nel loco del suo cranio escir una risataccia maladetta… e io ge dico: Dio maledica i maleficj tuoi con un ruglio (ondata) di suo sangue… e ti prenda per un brazzo per gettarti nel foco…».

Da la Cronica del suo tempo di Pedrino Fioravanti (Ferrara, Padre Migliocco 1604, cc. 17v. 18r.) si apprende che molte delle energie intellettuali di Gaspare Scioppo furono impiegate anche nella conoscenza dell’Alchimia. Il «vomito peccante» della sua eresia consisteva pure (per il tribunale del Sant’Uffizio) nell’aver tentato di gareggiar con l’Ente Supremo. Sua è infatti (fra tante altre cose) una ricetta alchemica per raggiungere la «felicità suprema» senza l’aggiunta di amuleti:
«Cogliere lo sperma di un umpiccato al gigolar (gridare) di una cagna sgozzata. Immergerlo ne la midolla d’un vescovo ch’abbia compiuto da giorni sex 71 anni. Fare un fuoco busciando tre cadaveri putrefatti di vecchie donne per ricavarne cenere, alla quale mantrugiare tutto il resto insieme anche all’aborto di una donna di vent’anni, a trentacinque mignatte, alla testa tagliata di un cardinale fatto bollire in grasso di foca, et a sette once di verga d’homo et a una libra di zuccaro e di orina di giumenta».

Molti testimoni raccontano che, dopo aver partecipato a un rito in cui consisteva nel bere codesto «immoderato intruglio» (distribuito da Scioppo ai fedeli, durante la cerimonia, con una brocca a cui tutti dovevano attingere), si materializzò la larva di una «stria (strega) ch’aveva le mani al posto de’ oregg (orecchie)… et il capo rotolava su’ testicoli strappucchiati a un liofante. Scioppo (stando al resoconto annotato dal reverendo Onofrio Alessio e dal cerusico Flavio Fioravanti -vedi appunto O. Alessio e Flavio Fioravanti: De la inaccessibil Alchimia del cafone Gaspare Scioppo detto Sfazù maledett e de’ suoi secreti universali, Ferrara, ex Officina Mutij Andrea Menghi 1605) disse di essere «l’ebrea abbruciata viva su la piazza del Duomo di Mantova»: Iovadith Franchetta.
Ciò è tanto vero che nel Capitolo 115 dal titolo «Abbruciamento della Iovadith hebrea» riportato da Giovanni Battista Vigilio ne la sua Cronaca mantovana dal 1561 al 1602 dal titolo La insalata, vi leggiamo annotato quanto segue:

«Per quanto ho inteso, alli 22 d’aprille 1600, in sabato la mattina, circa l’hore 15 1/2, su la piazza del Domo di Mantova fu abbruciata viva la Iovadith Franchetta, hebrea d’anni 77 incirca, per esser stata striga over per haver magliato molte et diverse persone in vitta sua et specialmente una monacha dell’ordine della chiesa di san Vincenzo in Mantova, la quale di già era hebrea et poi fatta christiana entrata nella detta religione. Fatta la professione se ritrovò inspiritata et per gratia di nostro signor Ihesu Christo poi liberata. Al qual spettacolo vi furno presenti il detto serenissimo signor nostro, madama Elleonora sua moglie, la serenissima Margarita duchessa di Ferrara et la serenissima arciduchessa d’Austria Anna Catherina, sue sorelle, venuta d’Ispruch come di sopra, et tutti gli figliuoli, accomodati sopra li poggi et finestre del pallazzo di Corte Vecchia, et tanta quantità et moltitudine de persone che tutta la detta piazza era talmente piena che non vi si poteva volgere, onde fu giudicato non vi esser manco de dieci et anco dodeci milla persone. La qual Iovadith hebrea, legata con molte funi in piedi ad una collona di legno, sopra una gran quantità de legne, alle quali doppo l’essergli datto il fuogo di trei hebrei che la confortavano, duoi se ne fugir[no] et il terzo, qual era vecchio et tanto intento al suo officio, f[u] / quasi per restar con essa lei nelle fiamme (sì come saria), quando dalli altri duoi non fosse stato tirrato al basso, nel qual mentre si abbruciò la fune con la quale haveva legato le mani, et con la man destra si faceva diffesa dal fogo alla faccia, soffiando anco con la bocca, ma poco gli valse perché incontinenti se ne caddi nelle fiamme et così finì la sua vitta».
Ci raccontano ancora Alessio e Fioravanti: «Scioppo portava sur una carrocia strassinata da doi buoi, un baldechino fatto di ossa umane, ossa che gli furono datti da un certo gentilhomo che tutti viddero resuscitare da una tomba, un giorno in cui Scioppo tenne un Elogio funebre al notaio Hippoliti Sfondrato.
Da allora usava Scioppo, ingionicchiato sul baldechino, con copiosissime parole et supportattione d’atroci tormenti, infliggersi e infliggere astruse pene, come le seguenti:
– con un’ascia di netto si troncava un piede e poi, doppo aver cavato visceri dal teschio morto appartenuto a un eccellentissimo cardinale, con gran satisfattione del populo che lo seguiva, mescolava que’ visceri al piede in un bacile zeppo di sangue di porco, sino a ottenere un colloso incchiostro. E qual maraviglia, quando sotto gl’ochi di tutti, Scioppo si rimise il piede che ritornò sano cum se non se lo fosse mai troncato;
– doppo cotesta matteria, Scioppo fece salire sulla carrocia l’herede d’un eccellentissimo nipote del principe d’Orange, egli diede da bere un siroppo che lo rese balbuciente e quasi cadavere. Scioppo allora conficcò le mani nel suo ventre che s’aprì cum quello di una putrescente vacca, et tollendo da quel secolcro di carnaccia i visceri, glieli diede da mangiare. E qual maraviglia nel veder che, pur avendo mangiato i propri visceri, l’herede dell’eccellentissimo cavagliere nipote del principe d’Orange, non solo non stramazzò a terra venenato di morte, ma nemanco lo sphacelo del ventre più si vidde».

Si racconta che Scioppo fu visto più volte «svargelare (frustare) ora Lucibello, ora Satanasso». Sotto una quercia «ch’era fori le mura di Mantova, vi ghe era un picciol pianoro» su cui Scioppo si riuniva coi suoi adepti a ogni crescer di luna, per entrar ne le grazie di Satanasso. Scioppo era così tanto potente, a detta dei suoi contemporanei, che persino il Demonio cedeva dinanzi alla sua forza: infatti non eran rare le volte che, dopo aver richiamato dagli Inferi Satanasso, egli non facesse schiccar la frusta per comadarlo a dovere.
Ne’ Il ricettario sabbatico Capitolo IV, de’ Secreti del Reverendo Donno Alessio Piemontese, nuovamente dall’auttor medesimo riveduti et ricorretti, Pesaro, Bartoleo Cesano 1559, p. 201, vi si trova descritto:
«In un locho mantovano maleficiato dal dimonio, un homo (dal tristo nome Gaspare Scioppo detto Sfazù -sfacciato- maledett) fece ne la città di Mantova e dintorni granne romore per haver cercao in un sabbato di richiamar in qua Satanasso. Io, ch’ero presente al sabbato, posso dire che tutto quello che scriverò in questo capitolo del mi’ presente livro riguardante il fatto, corrisponde a verità.
(…) Un gruppo d’homini e donne, di numero cinquantadoi, dai corpi chiusi in longhi sai neri cum pece infernale, sfilavano cantando in coro nemanco fossero di già nelle silve de gl’inferi: qualcuno urlava cum punto da lo iaculo (dardo) d’un demonio, qualcun’altro in tristicia avea la anima a’ denti (era agli estremi) perché i lor corpi venivan strambellati da l’honcie (unghie) di un granne et immenso Satanasso, ch’era d’improvviso, con maraviglia di tutti, piombato in mezzo a loro doppo che la vose (voce) di Sfazù maledett, che si trovava in capo a la fila, ebbe recitato:

«Signore, tutto in te è finito et infinito;
in te è la entrata et la ussita de l’Inferno;
i tuoi ochi -fochi nocturni- son loquaci ne l’Inferno,
in essi tutto seguita doppo morto,
tutto ricomincia doppo essere stato benignamente iniziato:
Eloi, Eloim, Elios, Elion,
Jeova, Jodhevah, Sabaot, Saddai!
Io vo’ a renegar la potestà di Dio!
Li piedi di Satanasso bascio.
Le sgraffiature da te fatte porto sul mi’ corpo;
il tuo supplicio ho accettato.
Ora vo’ su tuo ordine:
ad abbruciar viva una vergine;
a decapitar un fantolino d’anni doi;
a troncar di netto le verghe a doi homini d’anni sinquantadoi,
per farle mangiar crude a due vergini donne d’anni quarantadoi.
In tuo honore farò questo
et scioglierò li Sette Sigilli dell’Apocalisse.
Oh Sommo Satanasso! vieni!
Di te Signore non ho pagura:
di te conosco i tuoi lof (lupi) et cignali,
brugendo (urlando) di piacere andar voglio
per le vulve de le sacre vergini,
et in esse brugiar la mi’ verga in honor tuo,
et berrò il sangue humano di tre donne d’anni quindici».

E cosa i miei ochi viddero doppo quell’orazione?
Dentr’un pezzo di carnaccia di cadavere, un homo spellato vivo et ancor vivo, fu fatto adagiare, da quella congrega d’homini e donne scellerati, nel corpo sventrato del cadavere.
Sdraiatosi in que’ visceri pien di vermi et guasto marcioso, gli s’avvicinò un boja incappucciato che con una granne mannaja si dà a spaccar et a trinciar tutti e doi li corpi sino a quando della lor carnaccia non ottenne un fango di spappolata polpa.
Fu fatta poi abbrusciar viva una giovine vergine, le sue ceneri furon impastate insieme a una ruggiada di sangue cavata da la decapitazione d’un fantolino, la testa di cui fu gettata con le ceneri de la vergine in quel fango di polpa spappolata.
E furon poi segate le verghe a doi homini.
Dette verghe furon poi fatte masticare a doi vergini donne a cui fu comandato di sputar la carnosa poltiglia ne la fanga della suddetta spappolata polpa.

E cosa ancor i miei ochi viddero?
Scioppo cavò dal corpicino d’un’altro pargoletto, decapitato al momento, l’interiori e li masticò.
Spaccò con un sasso ‘l cranio de la testa decapitata del pargoletto e, strappato da quella concava teca ‘l cervello, gettò questo ne la fanga di polpa insieme a l’interiori masticate.
E doppo che tutto fu mescugliato e ben amalgamato, fu dato in pasto a tutte le donne e gl’huomini ivi presenti.

E cosa ancor i miei ochi viddero?
Vestito de carne humana scarnificata, apparve Satanasso.
Tra le gambe avea una verga in erezione che, se non l’avessi di persona vista, giammai avrei creduto che raggiungesse la lunghezza di ben dieci piedi circa.
E Scioppo, tutto vestito de negro, a costui comandava che a ogni frustata possedesse con la longa verga tutte le donne presenti al sabbato.
E vidi Satanasso affondar la propria verga ne’ genitali de le donne, che a una a una furon da essa impalate.
La verga penetrava sì la vagina, ma la sua lunghezza era tale che finiva per sfondar tutto il corpo uscendo dal cranio di quelle povere sciagurate.
A ogni sfondamento, la verga di Satanasso sborrava (non midolla seminale) ma membrane, tendini e cartilagini di neonati, schifosette serpi e ugne e visceri di suppliziati manigoldi (le urla de’ quali si facevan sentire), bocconi di carni humane corticate da tenaglie, escrezioni di pulci e zecche, esalazioni di liquefatto carcame, e tant’altro ancora: cose di cui tacere è evitar ‘l peggior disgusto».

Il reverendo Donno Alessio ci dice che tutto ciò è stato da egli veduto in stato di perfetta normalità, tant’è che, per tema di subire eventuali inganni dovuti da una sorta di ipnotismo collettivo, s’era portato con sé cinque testimoni affidabilissimi di diversa estrazione sociale: un cerusico, un teologo, un mercatante, un contadinaccio, un marchese.
Costoro affermarono non solo di aver visto tutto ciò che il reverendo Donno Alessio ha riportato con dettagliata descrizione nel suo menzionato livro, ma di aver con rigorosità analitica controllato che ivi, in mezzo a quel terrificante sabbato non vi fossero trucchi di niuna sorta.
Inoltre, ogni testimone aveva il compito di registrare personalmente su singoli quaderni, (in presenza di due notai) le proprie annotazioni, ad eccezione del contadinaccio: essendo costui analfabeta, fu a uno dei due notai affibbiato l’incarico di mettere per iscritto tutto ciò che egli (il contadinaccio) avrebbe, guardando, descritto oralmente.
Infine fu pure annotata, registrata scrupolosamente e deposta agli atti del Sant’Uffizio di Mantova, la testificazione vergata dai due notai.