‘il cielo in una stanza’. gino paoli. commento alla canzone d’autore // paolo jachia

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Autore e data di composizione-esecuzione: parole e musica di Gino Paoli; interprete: Mina – 1960

Periodo/successo: “Il cielo in una stanza” è una delle più splendide canzoni di Gino Paoli, il cantautore più esistenzialista e “maledetto” degli anni Sessanta italiani. Da ricordare però, per capire molte cose della storia della canzone italiana d’arte moderna, che la canzone incisa da Paoli non aveva avuto un eco di rilevo. “Il cielo in una stanza” invece – nell’interpretazione magistrale di Mina – balza immediatamente al primo posto di vendita e vi rimane per 26 settimane consecutive diventando uno degli evergreen della canzone italiana e pietra miliare del repertorio di entrambi questi grandi artisti.

Commento: Basta qualche verso per capire come questa canzone fosse un testo di rottura e lo fosse ancor più se cantata da una donna: “Quando sei qui con me / questa stanza non ha più pareti / ma alberi, alberi infiniti / quando sei qui vicina a me / questo soffitto viola no, non esiste più / io vedo il cielo sopra a noi / che restiamo qui / abbandonati / come se non ci fosse più / niente più niente al mondo / suona un’armonica mi sembra un organo / che vibra per te per me / su nell’immensità del cielo”. La scoperta dell’infinito da parte di Paoli-Mina è una esperienza concreta, carnale, esplicitamente sessuale, ben diversa da quella di Leopardi che, nell’Infinito, racconta di un’analoga esperienza ma vissuta in forma fortemente intellettuale e solitaria. Comune al “Cielo in una stanza” e all’Infinito è però l’essere partiti da un tratto realistico e quotidiano: è il finito, il quotidiano, che porta in sé l’infinito, che si apre all’infinito. Anche il titolo esplicita questo iter poetico-esistenziale: “il cielo in una stanza”, l’infinito nella dimensione quotidiana e casalinga di una stanza. E’ in coerenza a questo passaggio, a questo scarto tra reale e irreale che si dice: “quando sei qui vicina a me / questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti”. L’interpretazione di Mina – “nuova”, autentica, carica di umanità, intensa ed emozionante, libera anche rispetto a quella pur straordinaria di Paoli, di un certo machismo tipico ancora degli anni Sessanta – dà particolare risalto a questa carnalità, a questo modo libero e intenso di concepire l’amore (l’amore è l’incarnazione più evidente dell’infinito), a questa capacità di far nascere poesia dalla “tiritera” quotidiana. Senza fare di Mina un eroina protofemminista, è vero però che anche nella vita privata Mina diviene da subito il simbolo di un modo diverso, più laico, di vivere la vita. I suoi amori, numerosi e spesso infelici, i suoi vestiti buffi e bizzarri, ma anche sexy e trasgressivi, le sue risate e la sua presenza di scena la portano ad essere rapidamente al centro dell’universo mass-mediatico e televisivo. Così anche per Paoli e per i cantautori genovesi questa canzone segna l’inizio di una nuova era per la canzone italiana.

Echi letterari: Nonostante Paoli sia genovese e molte volte le sue canzoni siano state accostate alle poesie dei poeti genovesi (Eugenio Montale, Giorgio Caproni, ecc.) non è questa la sua “famiglia” letteraria ma la Francia esistenzialista dei filosofi e scrittori Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Albert Camus che trovò come compagni di strada grandi chansonnier e interpreti quali Edith Piaf, Jacques Prevert, Juliette Grecò, Boris Vian, Charles Aznavour, Georges Brassens, Jacques Brel. L’esistenzialismo era dunque non solo una filosofia – che si appellava al senso di responsabilità dell’individuo per superare gli orrori della seconda guerra mondiale e lo spettro di nuovi terribili conflitti – ma un vasto movimento intellettuale che dagli studi chiusi dei filosofi d’antan trasmigrava – in versi romanzi canzoni – nel vissuto della nuova gioventù post-bellica desiderosa di una vita più autentica e libera. Da questa situazione storica bisogna dunque partire non solo per capire il “francofono” Gino Paoli e i cantautori italiani dei primi anni Sessanta ma anche la scelta coraggiosa e di rottura di Mina.

Influenze successive: Anche se non è esistita una “vera“ scuola genovese, è vero anche che Gino Paoli è stato un caposcuola. Ossia è vero che Paoli è stato il primo tra i cantautori esordienti negli anni Sessanta ad avere successo e a imporre una svolta profonda nella canzone italiana, in questo profondamente supportato dalla “tigre di Cremona (così era stata soprannominata per il suo coraggio in quegli anni Mina). Enorme dunque l’influsso di Paoli sulla nuova canzone d’arte italiana e non solo nei primi decenni della “nuova era”ma anche in quelli successivi. Significativo in questo senso ricordare che i primi successi di Zucchero degli anni Ottanta portano la firma – come coautore – del “vecchio Gino”.