Autore e data di composizione: testo e musica di Fabrizio De Andrè, 1965
Periodo/Successo: quando questa canzone uscì non ebbe nessun successo o appena un successo underground. De Andrè iniziò ad essere conosciuto – a lasciarsi conoscere – negli anni Settanta quando accettò di fare la grande tournée con la Premiata Forneria Marconi (e, particolare biografico non secondario, da quando nella sua vita è entrata la sua seconda moglie Dori Ghezzi). Da quel momento questa canzone è divenuta – prima attraverso un sempre più vasto successo pubblico poi anche per la critica – un po’ il simbolo dell’universo poetico di De Andrè.
Commento: “La città vecchia” non è solo una delle più importanti canzoni di De Andrè, ma costituisce anche una buona base per illuminare le sue scelte artistiche e linguistiche. Infatti è importante subito precisare che “La città vecchia” di De André è una rielaborazione-traduzione di una poesia di Umberto Saba intitolata anch’essa “Città vecchia” di cui credo necessario riportare alcuni versi per meglio mostrare quale sia il percorso di De Andrè e il suo uso, liberissimo delle fonti e degli influssi culturali.
Scrive il triestino Saba: “Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia (…) Qui tra la gente che viene che va / dall’osteria alla casa o al lupanare (…) qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, (…) la tumultuante giovane impazzita / d’amore / sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore. / Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via”.
Possiamo notare che nel testo di De Andrè, rispetto a quello originario di Saba, vi è un maggior realismo accompagnato a una semplificazione del lessico, delle immagini e dei concetti e irrobustito da un fortissimo gusto narrativo e dall’abbandono della presenza lirica soggettiva. E’ interessante rilevare che sono i primi due versi – dove si usa la prima persona – quelli caduti ed eliminati e che nella chiusa dove ricompare la riflessione diretta di Saba, De Andrè preferisce inserire un’apostrofe rivolta all’ascoltatore e un atto d’accusa all’ipocrisia borghese.
Echi letterari: Le differenze ora notate tra la poesia di Saba e il testo De Andrè ci permettono di sottolineare due aspetti. Il primo che De Andrè non è un poeta nel senso convenzionale del termine ma piuttosto un cantastorie, o, meglio ancora, un autore di racconti-romanzi cantati. L’altro che è preponderante in De Andrè, rispetto alla lirica “cortese” italiana, l’influsso della poesia grottesca-carnevalesca, italiana e non italiana. Possiamo affermare dunque che il De Andrè chansonnier in proprio e traduttore di canzoni d’altri e rivisitatore di poesie antiche e moderne è comprensibile solo a partire dal fatto che egli era comunque e sempre un cantastorie, che insomma egli, anche in versi, era un grande autore “romanzizzato”. Non solo, ma possiamo anche ribadire che la cifra costitutiva del suo canzoniere è l’ironia, il grottesco, il rifiuto della classicità, il tradurre anche la propria lingua in un’altra lingua, il giocare con le parole per liberare le parole, per spezzare la crosta della convenzionalità e dare nuova libertà all’uomo e al suo pensiero.
Influenze sulla musica successiva: De Andrè è sempre stato un grande innovatore. Dunque in tutti e tre i periodi della sua attività – quello in cui era maggiormente influenzato da Brassens e dagli chansonnier francesi (anni Sessanta), quello in cui si è aperto al rock e a Bob Dylan (anni Settanta) quello in cui è arrivato alla word musica (anni Ottanta/Novanta) – ha avuto un enorme successo di pubblico e di critica. Non solo, ma De Andrè ha avuto una grande influenza su autori che sono stati suoi collaboratori ed amici: De Gregori, Bubola, Fossati, Malaspina… Ma forse l’influenza di De Andrè è stata più complessa ed indiretta. Nessuno dopo di lui ed anche tragicamente dopo la sua morte ha potuto più dire che la canzone italiana non era arte.