lezione: il manifesto futurista e Marinetti – analisi dei testi

lezione tenuta da Gaetano delli Santi
F.T. MARINETTI
FONDAZIONE E MANIFESTO DEL FUTURISMO
Pubblicato dal “Figaro” di Parigi
il 20 febbraio 1909

Avevamo vegliato[1] tutta la notte -i miei amici ed io- sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato[2], stellate[3] come le nostre anime[4], perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture[5].

Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città[6].

Sussultammo ad un tratto[7], all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani[8], che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po[9] straripato squassa e sràdica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio.

Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottìo, di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.

– Andiamo, diss’io; andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l’ideale mistico[10] sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!…Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!

Partiamo! Ecco, sulla terra, la primissima aurora! Non v’è cosa che agguagli lo splendore della rossa spada del sole[11] che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre millenarie!…

Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. Io mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.

La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d’una finestra, c’insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri.

Io gridai: – Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!

E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.

Eppure non avevamo un’Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, né una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di anelli bizantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante!

E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera[12], sguardi vellutati e carezzevoli.

– Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio[13], e gettiamoci, come frutti pimentati d’orgoglio, entro la bocca immensa e tôrta del vento!…Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo[14]

Avevo appena pronunziate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno…Che noia! Auff!…Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all’aria in un fossato…

Oh! materno fossato, quasi pieno di un’acqua fangosa! Bel fossato d’officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese…Quando mi sollevai – cencio sozzo e puzzolente – di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!

Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente[15] dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità[16].

Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una mia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti![17]

Allora, col volto coperto della buona melma delle officine – impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti – noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra[18]:

Manifesto del Futurismo[19]

1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità[20].

2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia[21].

3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno[22].

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia[23].

5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita[24].

6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali[25].

7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo[26].

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!…Perché dovremmo guardarci alle spalle[27], se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente[28].

9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo[29], il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore[30] e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie [31]d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

E’ dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria[32], col quale fondiamo oggi il “Futurismo”[33], perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii[34].

Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli[35].

Musei: cimiteri!…Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese![36]

Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti…ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo…Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire?[37]

E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?…Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.

Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?

In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati…) è per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: – l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l’avvenire è sbarrato… Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!

E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!…Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!…Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!…Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!… .Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!

I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili – Noi lo desideriamo!

Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche[38].

Ma noi non saremo là…Essi ci troveranno alfine

– una notte d’inverno – in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.

Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.

La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. – L’arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.

I più anziani fra noi hanno trent’anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d’audacia, d’astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato…Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!…Ve ne stupite?…E’ logico, poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!

Ci opponete delle obiezioni?…Basta! Basta! Le conosciamo…Abbiamo capito!…La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri.

– Forse!…Sia pure!…Ma che importa? Non vogliamo intendere!…Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!…

Alzare la testa!…

Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle![39]…
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[1] Marinetti esordisce, scrivendo al plurale, scelta che appare anomala rispetto al canone perpetuato e consacrato dalla tradizione.

[2] Mentre legge, anzi declama il manifesto ai suoi, Marinetti si trova in una camera a Milano, ma addirittura si immagina in una moschea fuori d’Italia, tanto che ci parla di un ottone traforato, tipico delle moschee. Marinetti intende riferirsi, quindi, ad altri lidi, ad una cultura altra.

[3] Marinetti introduce temi di rottura, assolutamente rivoluzionari, ma, in un primo momento, preferisce rimanere ancorato ad un linguaggio ancora aulico e tradizionale: qui egli non sta ancora adottando alcuna innovazione linguistica, la novità rimane solo a livello concettuale, a livello di Manifesto.

[4] Marinetti esordisce con un linguaggio lineare in linea con la tradizione. Si avvale in primis di un linguaggio ricercato, gradualmente si addentra nel discorso ed avanza, chiarendo le proprie dichiarazioni. In particolare egli ricorre ad uno stile liberty, situabile in pieno Decadentismo. Marinetti non si addentra subito nella questione, preferisce avvicinarvisi con cautela, senza osare da subito a livello linguistico.

[5] Marinetti individua un efficace ossimoro per rappresentare il dirompente tentativo futurista, ergo già avanguardista, di proiettarsi all’esterno, di abbandonare finalmente quel bieco e melenso introspettivismo di ascendenza petrarchista, che aveva dominato la lirica italiana fino a quel momento: emanate dal chiuso fulgore di un cuore elettrico. Il cuore elettrico, che si apre a frenetiche scritture, è un cuore capace di emanare elettricità e che, quindi, per sua natura, non può essere chiuso.

L’Avanguardia arriva alla distruzione totale dell’Io. Io da intendersi come la metafora di una poesia introspettiva di ascendenza petrarchista, che rimane sistematicamente nel suo sistema letterario, ancorato a sé. Con l’Avanguardia si rinnega tutto questo, diventando extrasistemica perché non vuole avere più a che fare con ciò che arte e letteratura erano state considerate sino ad allora.

[6] Marinetti sottolinea il contrasto tra la vecchia struttura architettonica ed edilizia e la velocità creata dalle automobili: da un lato si ammirano tramvai velocissimi, dall’altra restano ancora dei palazzi mummificati.

[7] Il linguaggio perde progressivamente la propria linearità. Iniziano a colpire i primi sbalzi temporali tra un pezzo e l’altro e affiora gradualmente la tipica vis aggressiva e polemica dell’autore.

[8] Marinetti mantiene il proprio focus sugli enormi tramvai, che emettono un rumore formidabile. Se alla fine dell”800 l’Italia è ancora strettamente legata alla tradizione, all’inizio del ‘900 l’Italia e i maggiori Paesi europei sono all’Avanguardia anche sotto il profilo scientifico. Milano, in particolare, è all’epoca una città d’Avanguardia con i tramvai e la linea tramviaria più grandi e capillare d’Europa: i binari entrano in tutte le strade milanesi.

[9] Il linguaggio è ricercato, ma la metafora resta sempre per strada. Marinetti, infine, arriva al clou della questione, all’affermazione di un’arte ed una letteratura, che si fanno per strada: la metafora delle feste popolane del Po ben rappresenta quel desiderio irrefrenabile ed ardore che spingono i Futuristi a scendere fra la gente. Finalmente tutto accade per strada. Antonin Artaud (1896-1948), commediografo, attore, scrittore e regista teatrale francese, teorico e fondatore del Teatro della Crudeltà, è stato il primo a teorizzare la necessità di un teatro per strada. L’elaborazione è stata lunga e complessa e ha comportato un intenso periodo di sperimentazione. In particolare, l’artista francese ha fatto tesoro delle esperienze maturate in Messico. All’epoca non era capito, andava contro ogni regola, ergo era preso per pazzo.

[10] A questo punto si assistere alla nascita di un vero centauro e, con esso, di una nuova mitologia che non ha nulla a che vede con quella che l’ha preceduta.

[11] La spada dell’aurora arriva a tranciare tutto per fondare una nuova quotidianità. Marinetti rimane sempre all’interno della metafora della guerra, della rivoluzione, per le quali occorrono delle armi da brandire, l’arma che la Terza Ondata di Avanguardia individua più precisamente in una parola che fuoriesce della pagina per interagire con il proprio lettore.

[12] Proviamo ad immaginarcelo all’epoca. Si era abituati a poesie liriche, morbide, che curano le proprie ferite. Qui non c’è più nulla di poetico, si infiltra poco alla volta con questo linguaggio. Parla di pozzanghera, una delle parole vietate ai lirici puri, fedeli alla tradizione, così come in pittura non erano ammissibili certi colori.

C’erano delle parole che non si potevano assolutamente usare in poesia: con l’Illuminismo nasce l’attenzione per una cultura enciclopedizzata, proprio a partire dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, per cui ogni sapere doveva essere incasellato con rigore e sistematicità. Proprio per questo, in quel periodo, fiorisce e ha un’enorme fortuna la trattatistica, ovvero la redazione e successiva pubblicazione e revisione in itinere di tutta una serie di testi e manuali ad uso di esperti e specialisti delle varie discipline, in cui erano contenute le regole, le linee guida, il dogma a cui era necessario conformarsi rigorosamente in ciascun ambito letterario, filosofico e/o scientifico.

[13] In una suo testo, scritto in età giovanile durante una grave crisi personale, Al culmine della disperazione (1933), concepito come una “sfida al mondo”, dove tutto è negazione della misura, violazione del limite, talora sino al paradosso, Emil Cioran (1911-1995) insinua osservazioni acutissime, sintesi taglienti, intuizioni talora quasi folgorazioni: sotto il ribollire di un magma denso di detriti letterari, sotto le esplosioni di un lirismo sfrenato già si colgono un piglio personalissimo, una mano sicura e impietosa, in particolare quando l’autore esprime un proprio parere sui saggi: Detesto i saggi per la loro pavidità- il contrario di quello che Marinetti afferma nel manifesto- e riserbo. Costui non conosce l’eroismo barbaro, grottesco e sublime. La sua anima non vibra, perché egli conduce una vita sterile, priva di antinomie e di disperazione. La disperazione del saggio sorge da un vuoto e non da un fuoco interiore.

[14] Diamoci in pasto all’ignoto: qui Marinetti fa una retata di tutto il Romanticismo, in particolare dei suoi epigoni nel Romanticismo decadente che era già verso l’ignoto, l’azzardo, l’inconscio; al Decadentismo piace anche ciò che spaventa, l’orrido, che entra a pieno titolo nelle arti. Qui si arriva addirittura all’assurdo: usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio -esorta caldamente Marinetti- e diamoci in pasto all’ignoto non già per disperazione, ma per colmare i pozzi dell’assurdo.

[15] L’autore sta attraversando linguisticamente le epoche artistico-letterarie, che lo hanno preceduto, come potrebbe essere un attraversamento in macchina di una città vecchia e decadente. In questo modo, egli intende preparare il lettore alla novità avanzate dal Futurismo, un movimento che può nascere solo a partire da un’operazione violenza di distruzione della tradizione, alias da una pars destruens totale ed assoluta di ciò che lo ha preceduto: si rende necessario combattere una guerra all’ultimo sangue, conditio sine qua non per la nascita stessa dell’Avanguardia in senso lato. Non c’è più una consecutio tra un fatto e l’altro, è la velocità stessa che porta a vedere a salti e ad esserne inevitabilmente affascinati, travolti e positivamente avvinghiati.

[16] Marinetti ha esordito in maniera lineare. Adesso la lingua inizia a mostrare dei sobbalzi: man mano che scrive, Marinetti velocizza lo spazio-tempo, non argomenta più in maniera logico-sequenziale: gradualmente egli nega, svuotandola dall’interno, il logore del Logos, mette in discussone l’infallibilità ratio, ovvero il sillogismo filosofico di matrice greca, propone dei salti arbitrari ed avanza un tipo di dialettica del tutto nuova ed originale, tipicamente avanguardista.

[17] Proprio ora si riesce cogliere, con maggiore chiarezza e lucidità, una notevole diversificazione tra il linguaggio letterario, a cui tutta la tradizione si è sempre conformata, ed un linguaggio extraletterario, quale forma di espressione più tipica e consona ad un modello poetico ed a una prassi comunicativa tipicamente avanguardista. Siffatto modello di interazione linguistica prevale nella seconda parte del Manifesto, mostrando la propria forza ed efficacia comunicativa proprio in seno alle dichiarazioni elaborate dall’autore.

[18] prima di osare, avanzando le proprie dichiarazioni, Marinetti ha introdotto il proprio lettore nella modernità, calandolo nel suo vivo per mezzo di un attraversamento in macchina, metaforicamente un viaggio che lo ha guidato alla scoperta di linguaggi differenti. Ora il poeta è pronto per dichiarare ciò che egli e gli altri futuristi vogliono:

[19] Marinetti dichiara che il Futurismo è un movimento anticulturale, antifilosofico, di idee, di intuiti, di istinti, di schiaffi, pugni purificatori e velocizzatori. I futuristi combattono la prudenza diplomatica, il tradizionalismo, il neutralismo, i musei, il culto del libro. Il movimento si fonda su undici punti che inglobano i settori dell’esperienza, le arti, il costume e la politica, la morale, facendo del futurismo l’unica avanguardia poliedrica legata ad un’ideologia complessiva, con un impeto ed un ardore rivoluzionario teso a creare un’arte nuova e ad impostare una nuova progettualità per rinnovare anche l’esistenza. Il movimento è animato ed alimentato da un impulso totalizzante e totalitario. Suo fine è quello di risvegliare la sensibilità attraverso una sensibilità, in cui tutti i cinque sensi fossero proiettati in una continua sollecitazione segnata dalla velocità

[20] Il verbo cantare evoca i proemi dei poemi epici e cavallereschi, esaltati dalla tradizione e consacrati da tutti i manuali di storia della letteratura italiana. Marinetti riprende un termine consono al canone per stravolgerlo, per ribaltarne i contenuti, per alternarne significati e finalità, proprio perché si inserisce in un’ottica già d’Avanguardia.

[21] Il Futurista, come del resto ogni Avanguardista, non è appagato e, del resto, non potrebbe mai esserlo né dalla contemplazione del paesaggio né dalla meditazione narcisistico-introspettiva del poeta lirico, così come si è configurato sino ad ora. Egli esibisce energia e vigore e si proietta verso l’esterno per cambiarlo attraverso un’operazione decisa di distruzione e sovvertimento dei valori tradizionali e del dogma tramandato in seno alle élite dei dotti. Anzi egli ritiene che non vi debba essere alcuna dicotomia tra il letterato e l’uomo di strada, perché il letterato si deve rivolgere a tutti per sollecitarli al cambiamento, alla ribellione. La sua è una poesia che entra nella realtà, è un’opera che coniuga sinergicamente estetica ed etica e che fa dei propri assunti programmatici la molla e la guida per il suo scrivere.

[22] . Lo scrittore o artista d’Avanguardia non se ne sta quieto in un studio a crogiolarsi nei propri pensieri, amori o ansie, ma esce sulla strada per combattere, per vincere la propria guerra dura all’ultimo sangue. Non ha paura della morte né del sangue: per lui è meglio una vita combattuta con coraggio, piuttosto che una vita apatica, piatta e malinconica, ripiegata su se stessa, piuttosto che un estetismo sterile, ripetuto meccanicamente, quindi infecondo, privo di progettualità.

[23] Marinetti afferma con decisione che il mondo è cambiato, ergo, ergo, con esso, devono variare e rimodularsi canoni di bellezza e dogmi letterario-artistici. Inoltre, invita ciascuno ad ammirare i meccanismi delle macchine e dei marchingegni moderni, di ci sottolinea la loro straordinaria bellezza, perché essi possono costituire modelli e punti di riferimento.

[24] Nel Manifesto futurista, il linguaggio è ricco di metafore, assonanze ed immagini che, da un lato, esaltano ed individuano al meglio le sensazioni, e che, dall’altro, evocano la voglia di distruzione che Marinetti aveva rispetto a tutto ciò che frenava, inibendola, fonti originali di ispirazione e produzione di nuove creazioni.

[25] Marinetti ed i futuristi rinnegano il passato e sradicano violentemente la tradizione. Essi intendono definire un punto zero per ricominciare da capo e si sentono delle belve fameliche, che possono orientarsi solo grazie al proprio fiuto in seno ad un’energica e vigorosa primordialità ancestrale. Si profila un cammino lungo e faticoso. L’intellettuale intende buttarsi nel mondo, quindi anche nell’equivoco, nell’ignoto, addirittura nell’orrifico, ed iniziare un percorso di rinascita, lotta per la sopravvivenza, ribellione contro la propria alienazione e ricerca di una libertà perduta nel tempo: gli elementi primitivi gli fanno da nutrimento e da guida, laddove egli si senta drammaticamente confuso, disorientato e straniato.

Già l’Espressionismo aveva esaltato la primordialità, uno spazio primordiale né realistico né naturalistico, spazio inteso come dimensione di primordialità mitica e pittura, sostanza pittorica plastica e concreta: l’elemento bisogna buttarsi nel mondo, quindi anche nell’equivoco, nell’ignoto, addirittura nell’orrifico. Nella figurazione sono talora presenti elementi simbolici, che tendono spesso ad evidenziare un senso di perenne straniamento, di sogno perduto irrimediabilmente, mai recuperabile, non più attingibile, per quanto ci si ostini in un’assidua e vana ricerca di umanità smarrita, confusa, stordita, di ansia di libertà da ricercarsi in percorsi lontanissimi fino alla primordialità ancestrale.

[26] La grande arte è tale solo se mostra ed avanza, con forza e decisione, un movimento aggressivo, è tale se osa scardinare, rivoluzionare, ribaltare i canoni e rinnegare le concezioni tradizionali dell’arte e della letteratura. Non devono cambiare solo i contenuti, ma anche le forme, attraverso cui questi contenuti si modulano, quindi la scelta delle parole, delle figure retoriche e metriche in letteratura o i colori, le luci, le forme nelle arti sarà nuova, rivoluzionaria. Ciò che prima non è stato ammesso sul podio delle arti, ciò che fino ad adesso non è entrato in poesia, adesso ha pieno diritto e cittadinanza.

Già il Manierismo, che parte dalla natura morta, lascia entrare nei propri quadri, attribuendo loro piene cittadinanza di essere e di esistere in quel contesto, a tutti quegli elementi che mai sarebbero potuti entrare in un’opera d’arte. La consapevolezza che potessero esistere più generi pittorici fu chiara quando presero autonomia i soggetti che raffiguravano i paesaggi e le nature morte. Precedentemente il paesaggio era utilizzato solo come sfondo di quadri che avevano altri soggetti principali. L’idea di fare quadri che rappresentassero solo composizione di oggetti inanimati non era mai stata considerata per mancanza di una reale motivazione. Precursori di un Manierismo dirompente, per cos’ dire manieristi ante litteram, possono essere considerati Albrecht Dürer (1471-1528), che introduce nell’arte il brutto, che in Karl Rosencrantz viene teorizzato alla stregue una vera e propria Estetica del Brutto (1994

[27] Marinetti vuole distruggere tutto ciò che è e viene dal passato, dalla tradizione, dal canone consacrato dai tempi e dagli accademici. I Futuristi rinnegano e rifiutano in toto il passato: i Futuristi indicano con il termine passatismo l’amore per il passato e passatisti i suoi fautori, arrivando ad attaccarli anche fisicamente nel corso delle loro presentazioni e performance.

Poco alla volta, Marinetti si addentra nella questione e chiarisce, sviluppandola, la metafora proposta, iniziando a spiegare di quale guerra si tratti, quali siano le ragioni del suo essere, contro chi e contro che cosa si rivolga. Dal disprezzo della donna Marinetti arriva all’attacco del femminismo: ciò a cui intende riferirsi è un genere lirico che per secoli, proprio a partire dall’introspettivismo trecentesco di Petrarca, ha riempito i nostri manuali e libri di letteratura e che per molto tempo è stata considerata la Poesia per antonomasia, quella letteratura d’amore, ripetitiva e stanca, che cantava una donna stereotipata, sempre bionda e nobile d’animo, bella ed eterea, affatto reale.

[28] La dichiarazione di iMarinetti è di un’audacia straordinaria: il poeta avanza un concetto di rottura violenta, perché qui non solo osa colloca futuristi e se stesso in una posizione sopraelevata rispetto ai classicisti, ai difensori ad oltranza della tradizione, ma afferma anche che tutto quello che è successo in basso, nei secoli, gll fa orrore perché si configura alla stregua di un’ipocrisia ammuffita, pericolosa e mercificata. Per questo motivo, non avrebbe alcun senso per lui voltarsi per guardare alle proprie spalle. Marinetti aggiunge che il tempo e lo spazio -reminiscenza delle categorie kantiane- sono morte ieri. Egli si riferisce, a questo proposito, ad un documento di tre anni addietro, un testo che ha cambiato il mondo o, almeno, che ha cercato di farlo: il Trattato sulla relatività (1905) di Albert Einstein (1879-1955).

[29] La metafora della guerra si inscrive in un discorso di carattere più strettamente artistico-letterario e non deve essere equivocata come, purtroppo, hanno fatto nel passato coloro che hanno abusato, manipolandolo ideologicamente in base al proprio interesse, quanto Marinetti ha scritto. Marinetti scrive di militarismo e patriottismo e di esaltazione della guerra, percepita quale sola igiene del mondo: la metafora è forte perché deve servire da distruzione non solo di tutto il passato, ma anche dell’Io narcisistico, della poesia introspettiva, della ripetizione sterile di contemplazioni bucoliche o di pene d’amore. L’artista si rende conto che tutto ciò è stato micidiale, ha appiattito e abbruttito l’uomo. Per questo motivo, Marinetti afferma che bisogna reagire in maniera forte. Il Manifesto di Marinetti e le sue dichiarazioni sono state fraintese nel corso dei decenni, ma egli non intende stendere un trattato di guerra, qui egli sta parlando di letteratura. La guerra va fatta contro un genere di letteratura ammuffita, ormai marcia e polverosa.

[30] Se, ai punti precedenti, Marinetti ha fornito le premesse, ora egli intende calarci nel vivo della propria metafora intellettuale: egli afferma che i futuristi restano per il fervore degli elementi primordiali, proclamandosi, in seno una guerra, fautori per lo schiaffo e per il pugno . In questa dichiarazione Marinetti spiega ai propri interlocutori come non si possa radicare un passato micidiale in altro modo se non attraverso una guerra, una lotta violenta resasi necessaria ed improrogabile per abbattere le vecchie strutture. Aggiunge, poi, un concetto di fondamentale importanza: per fare questo, occorre un ideale, un’utopia, che funzioni da guida e da bussola, quelle che egli chiama le belle idee per cui si muore.

[31] Con il Futurismo la letteratura esce dai confini dai luoghi ad essa tradizionalmente deputati, ovvero dai libri, dai musei, dalle biblioteche e dalle accademia per scendere per strada ed interagire finalmente con il popolo, trasformandosi in un accadimento da vivere collettivamente.

[32] Quel che colpisce nel Futurismo italiano è la sovrabbondanza dei testi programmatici, fenomeno che ha il suo equivalente soltanto nell’avanguardia russa, da Malevic a Larionov; e il carattere violentemente polemico e provocatorio dei testi stessi, nei quali la volontà di rottura è manifestata con toni esagitati e perentori.

[33] Nel momento in cui il termine Futurismo nacque dalla fertile inventiva di Marinetti, esso designava un movimento culturale dal programma ben definito. A differenza di altri gruppi e movimenti artistici moderni, come l’Impressionismo, il Fauvismo, il Cubismo che avevano accettato o adottato la definizione loro attribuita dalla critica, tendenzialmente poco benevola, il Futurismo si è battezzato da sé, anzi è stato battezzato proprio da Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), poeta e narratore di duplice cultura, italiana e francese, e buon conoscitore delle scuole poetiche di fine Ottocento, in particolare del Simbolismo, alla cui volontà di rinnovamento fu assai sensibile. Negli anni tra il 1909 e il 1915 il Futurismo conosce una fase di grande fervore intellettuale, costellata da una serie di prese di posizione teoriche o manifesti, sia nel campo letterario sia in quello delle arti figurative: nel 1912 viene pubblicato il Manifesto della scultura futurista, nel 1914 il Manifesto dell’architettura futurista, firmato da Antonio Sant’Elia (1888-1916), grande architetto e urbanista, e nel 1915 il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla e Fortunato Depero (1892-1960), per non citare che alcuni tra gli scritti programmatici del periodo. Nel 1913 Marinetti intraprende un viaggio a Mosca, suscitandovi grande interesse e rinsaldando il legame con i circoli dell’Avanguardia russa.

[34] L’autore è estremamente puntuale nella descrizione della, una Milano perfetta dell’epoca, e lancia delle immagine gratuite. Ci si può chiedere per quale motivo recondito Marinetti si soffermi tanto su questa modernità: la scelta è dettata dalla volontà dell’autore di mettere in rilievo, dicotomizzandole, le differenza tra ciò che è stata l’arte sino ad allora e ciò che intende proporre il Futurismo. L’arte si è occupata, fino ad allora, di nudo, di paesaggi o di arte sacra. Quello è stato il mondo dell’arte, quella è la realtà che Marinetti intende negare e cancellare in toto, sradicandola dal di dentro, attraverso quest’esplosione di violenza.

[35] In particolare l’arte dovrà esaltare il dinamismo, la velocità, l’energia e l’azione umana, in ogni campo; dovrà sfuggire alla museificazione per rinnovarsi continuamente nei temi e nelle tecniche; dovrà incidere profondamente nel tessuto sociale; dovrà provocare, scuotere, usare violenza psichica e anche fisica (si pensi, ad es., alle movimentate conclusioni delle serate futuriste).

[36] Ecco affiora il dramma, che Marinetti propone una metafora particolarmente efficace, quella dei cimiteri. Marinetti si rende conto che la situazione attuale è assurda: nei musei esistono migliaia di opere, che nessuno le conosce, per questo essi possono essere considerati la tomba dell’opera.

[37] Marinetti scrive della sinistra promiscuità che nasce dalla vicinanza tra tanti corpi, per esempio quella a cui egli si sta riferendo ora è quella che nasce in seno ai pellegrinaggi, dove si incontrano e scontrano molti che non si conoscono, ma che sarebbero disposti a tutto tanto è forte il loro desiderio di evadere.

[38] La metafora è sempre quella: uccidere il passato, sradicare la tradizione, ribaltare i canoni, indicare un nuovo punto zero. La letteratura non aveva mai fatto così sino ad allora, perché mancava il coraggio, ma, nel ‘900 i futuristi spazzano via tutto quello che li aveva preceduti.

[39] Qui Marinetti ribadisce, ancora una volta, l’impeto violento ed irriducibile che lo porta a sfidare la tradizione.