lezione: il manifesto futurista – introduzione

lezione tenuta il 5 luglio 2007 da Gaetano delli Santi

INTRODUZIONE

Il Manifesto del Futurismo è il documento programmatico, scritto da Marinetti nel 1908 e pubblicato su Le Figaro nel 1909, in cui l’autore intende enunciare i principi fondamentali e le linee guida della scrittura e dell’arte futurista. Il testo enuncia la poetica futurista: esso si focalizza non solo sui caratteri estetico-espressivi propri del movimento, ma anche sulla concezione stessa dell’arte e della letteratura, sulla loro ragion d’essere, sulle loro finalità e sul rapporto che esse vogliono intrattenere con i propri lettori. Marinetti delinea forme e contenuti nuovi, originali, del tutto rivoluzionari: egli intende esporre un programma violentemente polemico, di integrale svecchiamento della cultura dominante sulla base di nuovi principi, coerenti con la vita moderna e la società industriale. Il Manifesto si configura alla stregua di una denuncia energica nei riguardi dell’arte e della letteratura, così come erano state concepite sino a quel momento.
Quando redige il primo Manifesto del Futurismo, pubblicato sul “Figaro” del 20 febbraio, il poeta ha già al proprio attivo un certo numero di raccolte in italiano e in francese e dirige a Milano la rivista di impronta simbolista “Poesia”. Nel corso dell’anno 1909, Marinetti ha l’occasione di entrare in contatto con un gruppo di giovani pittori italiani pronti a elaborare e a praticare in pittura l’idea futurista: Umberto Boccioni (1882-1916), Giacomo Balla (1871-1958), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947) e Gino Severini (1883-1966), i quali, nel corso del 1910, aderiscono al movimento e pubblicano il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. Da qui si evince una delle prime caratteristiche del Futurismo e dell’Avanguardia in senso lato: l’intedisciplinarità delle arti e l’intersemiosi linguistica che ne connota forme espressive e modelli comunicativi.
Contrariamente ad una scrittura avanguardista velocizzata dalla frammentazione e da un gergo rimodulato di volta in volta in funzione del contesto e dei contenuti trattati, Marinetti apre il Manifesto, con un linguaggio lineare ed uno stile liberty, situabile in pieno Decadentismo. Marinetti compie un’operazione forte sul piano dei contenuti, ma leggera su piano letterario: tratta temi di rottura, ma nel linguaggio non adotta nessuna innovazione, che resta solo a livello concettuale, a livello di Manifesto. Il senso dell’Avanguardia non viene dichiarato dall’inizio, ma c’è già e si intravede in quel modello comunicativo già in parte innovativo. All’inizio del testo il linguaggio è ancora aulico, ricercato, sembra un linguaggio soft, in realtà è già una forma espressiva polisemia ed intersemiotica, una scrittura che devia continuamente il proprio focus, pur mantenendo fisso ed inalterato il proprio perno. Poco alla volta si inizia ad evidenziare una forte differenza tra un linguaggio ancora letterario e tradizionale e la proposta comunicativa futurista, innovativa e rivoluzionaria, per così dire extrasistemica. Si profila un forte contrasto tra i due tipi di scrittura, una dicotomia insanabile ed inevitabile, che porterà l’autore ad optare per il secondo tipo.
Marinetti non entra subito nella questione, vi arriva gradualmente, avvalendosi in primis di un linguaggio ricercato, gradualmente si addentra nel discorso ed avanza, chiarendo le proprie dichiarazioni. Ci spiega come queste idee siano venute attraverso una serie di metafore. Il rischio è quello di fraintendere le metafore individuate da Marinetti: per ovviare a questo occorre rimanere ancorati ad un discorso strettamente letterario, che è quello a cui Marinetti si riferisce con questo documento. Ogni parola sottende dei significati profondi che vanno al di là di quel che c’è scritto: l’autore vuole farci intendere che, nonostante quello che fino ad allora hanno assorbito nelle scuole, hanno ancora il coraggio di lasciarci sorprendere.
A questo punto occorre chiarire quali idee-forza animino i testi futuristi. In primis, il Futurismo è rifiuto in toto della storia, negazione del passato, scardinamento della tradizione: esso rappresenta un modo di guardare al futuro, cancellando, con la storia, dogmi e canoni consacrati dal tempo, perpetuati dell’Accademia lontana e recente. Vis polemica, carica distruttiva e volontà di ricostruire ex-novo sono particolarmente evidenti nel contesto specifico del Futurismo italiano. Siffatta scelta ideologica è imputabile alla presa di coscienza da parte degli intellettuali del provincialismo della cultura e dell’arte ottocentesca italiana, rimaste ai margini dei grandi movimenti di pensiero europei, e dal tentativo di uscirne. Non si è trattato soltanto di respingere gli stili e le forme, le tecniche tradizionali, ma anche e soprattutto i contenuti dell’arte e della cultura in generale.
Il Futurismo tende ad esaltare enormemente il mondo moderno, con le sue città, le industrie, le sue macchine. Famosa è la frase di Marinetti sull’automobile, più bella della Vittoria di Samotracia. La macchina da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo e l’immagine della velocità, di cui i Futuristi si fanno fautori ed accaniti sostenitori, diventano, così, i nuovi miti futuristi. Nell’impeto rivoluzionario che li spinge a rifiutare ogni categoria precostituita e a ritornare agli elementi primordiali non sarebbero potuti mancare, quali elementi essenziali ed inevitabili, il coraggio, l’audacia, la ribellione.
I Futuristi si sentono delle belve fameliche, che si orientano solo grazie al proprio fiuto, quindi non possono percepirsi in altro modo se non come dei giovani leoni, che inseguono la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante
L’arte e la letteratura si fanno per strada. I Futuristi non sono né si sentono un’élite che promuove cultura all’interno di un ristretto gruppo di intellettuali: la metafora delle feste popolane del Po ben rappresenta l’impulso e l’ardore che li spingono a scendere per strada. Il pensiero avanguardista non nasce a livello cartaceo, ma a diretto contatto con vita: mentre gli altri dormono, i Futuristi, infatti, guardano, osservano con attenzione all’interno della città. Marinetti esorta i propri interlocutori a seguirne l’esempio. Il suo invito è quello di uscire dall’orribile guscio della saggezza e di gettarsi, come frutti pimentati d’orgoglio, entro la bocca immensa e tôrta del vento: egli esorta ciascuno a darsi in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo.