Lezione tenuta da Gaetano delli Santi il 7 giugno 2007
Kurt Schwitters “URSONATE”.
La composizione, portata a termine nel corso di 10 lunghi anni (1923-33) presenta caratteristiche molto innovative rispetto alle ricerche dei contemporanei e si eleva ancor oggi come insuperabile esempio d’opera interdisciplinare. Già i futuristi avevano aperto la strada verso l’interazione di varie arti, ma a livello differente: anzitutto vi era una collaborazione fra diversi artisti con specializzazioni singole che, unendo le loro competenze, davano vita ad una creazione d’insieme, inoltre le loro ricerche in relazione alla sonorità si spingevano in direzione di riprodurre rumori e suoni reali servendosi di onomatopee. L’Ursonate funziona come una partitura musicale ed è un’invenzione linguistica nuova e bastevole a se stessa. I suoni studiati da Schwitters, infatti, sono moduli atti a costruire un nuovo linguaggio, non riproduce o imita altre fonti. Si divide in temi, ognuno dei quali riporta la dicitura del modo in cui va eseguito: quattro quarti, cantato, velocissimo. Qui di seguito sono schematicamente riportate le caratteristiche salienti di ciascuno
II Tema: viene ripresa la tradizione lirica – cantando -: sbuffi , tintinnii , forma colloquiante con uso ripetuto del fonema “ dr “ . III Tema : micro variazioni fonetiche “nz“ “ cr” : parole come “Rinzghete” e “Rackete” . L’ andamento è scorrevole, il piglio ironico e dialogato. IV Tema: “Ilf” “till”, fonemi che diventano rumori e suoni. Il gran finale porta la dicitura Rondò. Le immagini che si ricavano dall’ascolto riportano ad un turbinio cittadino, una festa, oppure diventano possibili rimandi ad una guerra in trincea: scoppi, spari e colpi di mitra. Nel primo caso, invece, clarinetti, trombe, triangoli e clacson.
La sonorità stessa dei fonemi utilizzati è il punto cardine su cui focalizzare l’attenzione, in prima battuta perché essa rimanda ad un significato particolare intrinseco, il risultato che se ne ricava non è solamente virtuosismo musicale e neppure mera poesia: è qualcosa di molto più ricco in quanto l’Ascoltatore (la forma scritta non rende l’adeguata giustizia a questo tipo di componimento!) è coinvolto in un processo di comprensione e decodificazione degli stimoli a 360 gradi; si fa appello alle facoltà immaginative, sensoriali, intellettive di ognuno. Tutto il corpo è concentrato nello sforzo. C’è tensione, ritmo, attività.
Ancora una volta il calcolo porta a risultati che comunemente gli sono negati: attraverso un’esattezza capillare nella scelta dei suoni adatti ad entrare in una partitura musicale e grazie ad un’attenzione profonda nella composizione bilanciando ogni elemento in relazione agli altri…Il prodotto ultimo è qualcosa in grado di aprire schemi convenzionali rielaborando il significato, o ancora permettendo al destinatario una reale interazione con l’opera, cosa che non accade in presenza di poesie “esplicative” (liricamente e graficamente). E’ dunque il caso di chiamarla poesia Concreta?
L’ esempio più calzante è quello fornitoci dal teatro: le parole-fonemi sonore creano spazi scenici dilatandosi nell’intorno, modellando gesti e movimenti, vibrando…Nell’atto stesso della recitazione diventano scultura plastica modificando il corpo di chi parla. E’ come un incessante avanzare che scende dal palco, dalla sedia, dal libro, da tutti i possibili piedistalli, coinvolgendo il pubblico. A mio parere anche la figura stessa di chi recita o chi ha prodotto l’opera scompare nel momento in cui l’Ascoltatore si fa coautore rielaborando il significato della stessa.
Eppure non può nascere dal nulla cotanto splendore! Avrà certo alle spalle nobili ed altissime tradizioni…Sì, le cantilene delle ninne nanne costellate di rime baciate e onomatopee, le filastrocche popolari, gli incantesimi delle fattucchiere dai suoni affascinanti e gesti plateali, dal magnetismo dei riti tribali capaci di generare energia allucinatoria. Purtroppo, come accennato sopra, la scrittura non è certo il mezzo più consono al godimento dell’Ursonate.
La lezione è terminata, infatti, con l’ascolto. La voce recitante era quella di Giuliano Zosi.
Luci spente e occhi chiusi per rendersi più ricettivi e disponibili all’ascolto e perché il nero sipario delle palpebre serrate è il fondale più ambito da chiunque voglia dar spazio all’immaginazione.
chiara ferrante