Giulio Casale come Giorgio Gaber

‘Polli d’allevamento’

Spettacolo teatrale coraggioso. Il cantante ripropone uno soggetto gaberiano di tre decenni fa, quasi senza interventi che lo differenzino dall’originale. L’operazione di emulare impeccabilmente Giorgio Gaber è facilmente attaccabile: è scontato chiedersi perché rifare “male” un intervento di cui abbiamo già un originale in circolazione? Provate a vendere gabinetti da muro o tagli su tela in una galleria d’arte… verreste derisi all’istante.

Il problema è che l’azione di Casale è più sofisticata, merita un’analisi approfondita. Intanto essendo una persona consapevole del naufragio culturale, economico, politico, ambientale ed energetico del mondo ha capito l’importanza di passare un messaggio forte che sensibilizzi alle problematiche contemporanee. In secondo luogo riesumare la salma di Gaber, permette alle nuove generazioni di avvicinarsi ad un intellettuale che ha contribuito alla costruzione di un mondo migliore. Inoltre, l’articolata e complessa identificazione nel personaggio, nelle movenze, nella gestualità, nella mimica, nella tonalità di voce, necessita un impegno serissimo nonchè uno sforzo, percepibile dal vivo, indispensabile per una maggiore penetrazione nel cantante milanese. Conscio di tutti gli ostacoli che avrebbe incontrato, Casale ha deciso di seguire questa strada pericolosa ed ambigua. Forse perché lo avrebbe condotto, attraverso il sentiero tracciato da Gaber, a toccare i punti deboli di un pubblico intontito o triste, alla ricerca di consolazione.

Avendo poi chiaccherato con l’artista, è emersa la delusione di non aver scatenato infuocate discussioni alla fine dei suoi spettacoli e di non esser riuscito ad offendere/stimolare gli spettatori tanto da ricevere una risposta. Non è facile sentirsi dire che siamo polli d’allevamento.
Il silenzio dopo una tale provocazione non è certo un segnale positivo.