prologo
Il Menestrello descrive dettagliatamente, secondo una ritrattistica che si ispira al pittore manierista Arcimboldo e alle Grottesche rinascimentali, i 9 Cardinales generales Inquisitores.
Dai ritratti dei 9 Cardinales che il Menestrello raffigura, se ne ricava una particolareggiata allegoria sui peggiori vizi e crimini commessi dalle Congregazioni del Santo Uffizio.
Al termine delle raffigurazioni dei 9 Cardinales generales Inquisitores, gli stessi subentrano in scena col compito di declamare insieme e/o alternandosi, i Capi d’Accusa coi quali si condanna al braccio secolare (al rogo) Bruno.
I Capi d’Accusa riportano in sintesi questioni filosofiche, teologiche, astronomiche… che la Santa Chiesa condannerà perché ritenute eretiche.
Saranno inoltre messe all’indice (e condannate di conseguenza anch’esse al rogo) tutte le pubblicazioni di Giordano Bruno: se ne dà un’elenco completo dei titoli pervenutici.
Al termine dei Capi d’Accusa declamati dai 9 Cardinales, gli stessi che storicamente hanno firmato di proprio pugno il processo verbale che condannerà Bruno alla pena infamante, il Menestrello rientra per liquidare, in maniera sempre grottesca, i 9 Cardinales.
atto primo
È sempre il Menestrello a introdurre e descrivere -di volta in volta- le scene in cui i personaggi (Bruno, Manfurio, Coro) si muoveranno.
Qui abbiamo un serrato dialogo fra Bruno e Manfurio, tutto improntato su una spietata critica rivolta contro il fumistico, ciarliero, reazionario, disonesto mondo politico attuale.
La politica qui è anche una metafora che ci riporta ai machiavellici e opportunistici intrichi criminali della Santa Inquisizione: ciò che Bruno dirà al politicume fuor dei denti, lo dirà pure metaforicamente contro il Santo Uffizio… con un linguaggio impietoso e feroce.
Manfurio, oltre ad essere l’antagonista dialogante di Bruno, è anche e soprattutto l’Alter Ego di Bruno.
Bruno dialoga con se stesso, cioè con Manfurio: ne deriva una condizione dialogica in contraddizione. Da una parte abbiamo Bruno forte e coraggioso, che (secondo coscienza) apporta a se stesso -al suo Alter Ego Manfurio- sufficienti ragioni che legittimano la sua eroica disapprovazione nei confronti di tutti i crimini commessi (in senso lato) dall’uomo; dall’altra parte v’è Manfurio (suo Alter Ego) che lo contraddice (pur ammettendo e riconoscendo l’alto valore etico e morale che traspare dalle invettive di Bruno), riconducendolo insistentemente alla realtà… A quella stessa realtà che impudentemente gli ricorda: non vi sono parole in un uomo, per quanto giuste e toccanti esse siano, in grado di svergognare sufficientemente i mali dell’umanità; è quindi utopia il voler riportarla sulla strada di un ritorno alla vita conforme a una rinnovata dottrina etica.
In definitiva, Manfurio ricorda a Bruno che questi non son tempi in cui sia possibile riformare il mondo secondo una più che giusta Utopia.
Il Coro (Coram populo) s’intrometterà di propria iniziativa nel dialogo intrapreso da Bruno e Manfurio, per due volte a dovuta successione di tempo.
Il Coro rappresenta un popolo che, in questo caso, si dimostra essere in perfetta sintonia con Bruno.
La consonanza tra il popolo e Bruno sarà totale, tant’è che il Coro non solo appoggerà le invettive che Bruno scaglierà contro il sistema vigente di un deteriorato “stato di cose”, ma finirà per rafforzare quelle invettive adottando lo stesso impietoso linguaggio di Bruno.
Il Coro è inoltre il preludio a un popolo che si dimostrerà in seguito un voltagabbana, com’è esattamente nella natura d’ogni popolo a qualunque razza appartenga.
Infatti… se qui il popolo sposerà in pieno la causa di Bruno, nell’ultimo atto lo tradirà, scortandolo in gran tripudio al rogo.
atto secondo
Il Menestrello introduce, in ordine di successione, i Quattro Elementi (Fuoco, Aria, Acqua, Terra).
Ogni Elemento è descritto con un linguaggio adeguato al proprio significato semantico.
Ciò vale a dire: l’operazione linguistica adottata, ad esempio, per la rappresentazione verbal-scenica del Fuoco, è strettamente collegata alla semanticità visiva del Fuoco, per cui ne risulta che il linguaggio non è assolutamente intercambiabile. Così dicasi per gli altri Elementi.
Il linguaggio che il Menestrello adotterà per ogni Elemento in causa, è minuziosamente descrittivo e altamente allegorico.
Ogni Elemento è trattato in modo da rivelarsi sfondo scenico a Bruno che, in base all’Elemento con cui si troverà di volta in volta a interagire, inscenerà un Soliloquio (poetico-filosofico-critico-riflessivo) inerente all’Elemento in scena. Ovvero, sarà l’Elemento stesso che darà l’imput d’avvio ai soliloqui da Bruno declamati all’interno di ogni mutamento di scena che ne descrivono i diversi Elementi.
Il Soliloquio spazia in diversi campi. Simboli e allegorie provenienti da svariati contesti si fondono in un unico linguaggio.
Vi compaiono materiali linguistici provenienti: dalla chimica ermetica, dalla archimagía, dalla alchímia, dalla teologia, dalla geometria, dalla filosofia, dall’essoterismo, dall’astronomia, dalla mitologia cristiana e pagana, eccetera, eccetera.
Nei linguaggi dei singoli soliloqui, non mancano né inserti interconnessi di violenti invettive allegorizzate, né parole volgarmente sporche provenienti dal basso volgo in contrapposizione a quelle auliche.
Tutta l’impalcatura verbale è costruita sull’umore di un Giordano Bruno redivivo ispirato, che si rivolge (con animo afflitto, malinconico e amareggiato) a se stesso, a Dio, al mondo e all’Universo tutto.
atto terzo
Il Menestrello configura una Piazza in cui, nelle vesti di Meretrici, la Filofofia, l’Arte, la Teologia e la Scienza si prostituiscono.
La Piazza è descritta con tutto lo sfoggio di un luogo adibito allo smercio di lussuose prostitute.
Ricorrendo alla tecnica visiva delle “Grottesche”, la scena è dipinta minuziosamente con parole ambigue: ora da basso puttanaio, ora da borioso postribolo.
Le Meretrici circuiscono Bruno… capitato lì per caso dopo uno dei suoi tanti vagabondaggi intrapresi per strada.
Ognuna delle Meretrici tenta di carpirlo, sfoggiando -con tutta la procacità e la sfrontatezza di cui è capace- i propri attributi da baldracca e sofisticata peripatetica.
Inizia un incalzante dialogo tra le Meretrici e Bruno.
Una alla volta, facendo a spintoni col parlare, ogni Meretrice si pavoneggia con un linguaggio che le è più congeniale (esempio: l’Arte parlerà di arte), mettendocela tutta affinché Bruno la scelga come compagna ideale con cui sfogare i propri istinti sessuali (sia pure per una notte e a pagamento) in modo del tutto inconsueto e creativo, stando ovviamente alle loro promesse.
Ne nasce una complessa allegoria: la Filosofia, la Teologia, l’Arte e la Scienza rappresentano le principali discipline del Pensiero umano, per le quali Bruno redivivo già spese -nella sua prima vita- tutte le sue migliori energie per trovarvi una ragion d’essere tramite cui costruire, col proprio contributo, la grande Utopia per la realizzazione di un Mondo Ideale.
Ancora una volta se le ritrova tutte, sboccatamente e ingannevolmente sorridenti, a smerciare aria fritta: un Giardino delle Esperidi, un Eldorado che difatti non esistono né sono mai esistiti.
Bruno le ammonisce, disapprovando le loro allettanti offerte, con tutta la forza verbale che gli rimane: chiama ad audiendum verbum ogni loro malefatta, svergogna ogni loro impostura, rimanda con la coda tra le gambe ogni loro farisaica offerta, stigmatizza e umilia ogni loro deplorevole inganno.
Per Bruno insomma l’Utopia è finita: più non crede alla possibilità di ricostruire un Mondo Migliore con la comprensione delle maggiori discipline del Pensiero umano.
Frutto dell’uomo, queste discipline si riveleranno ancora una volta, con gran rammarico e deplorazione, umane… troppo umane: ingannevoli e vane quanto ogni altra cosa creata dall’uomo.
Codesto nichilismo di Bruno finirà per stizzire i Magnaccia delle Meretrici: i 9 Cardinales generales Inquisitores.
Questi spuntano alla fine del dialogo fra le Meretrici e Bruno. Ancora una volta Bruno sarà da questi Cardinales (presentati sotto le mentite spoglie di magnaccia) condannato alla pena irremissibile.
Lo condanneranno perché Bruno non si piegherà, per l’ennesima volta, ai loro sporchi precetti tramati per i propri profitti.
È la metafora di un uomo che non cede alle vane lusinghe della perversa immondizia umana.
epilogo
Il Menestrello commenta a ritmo carnascialesco, come uno speaker in diretta, l’invasata gazzarra di un popolo che trascina Bruno al rogo.
Il ritmo verboso utilizzato dal Menestrello per descrivere la confusione di un popolo che scorta Bruno alle fiamme, fustigandolo a più non posso, mira a restituire un’atmosfera concitata e conturbata, sotto la quale la pena infamante gettata sfacciatamente in faccia a Bruno, viene spettacolarizzata. Si assiste in diretta, attraverso anche monitors televisivi, all’eliminazione di un uomo.
Tutto lo spettacolo è costruito secondo un apparato dai colori pietosi, terribili, ripugnanti e nauseanti, e perciò appetitoso per il volgo dal palato kitsch, farisaico e meschino.
È la metafora di una umanità che crede di scampare alla sciagura dei propri mali, addossandoli a un solo capro espiatorio: Bruno.
È la metafora di una umanità che crede di redimersi condannando sadicamente un uomo a espiare colpe che le appartengono.
È la metafora di una umanità che condanna proprio quell’uomo che l’ha risvegliata dal suo opportunistico torpore maleolente di furfanterie, mettendola faccia a faccia con le sue innumerevoli infamie.
Alla spettacolarizzazione kitsch del repellente scenario d’una condanna a morte, si sovrappone la manipolazione (attraverso i monitors televisivi) di ciò che lì realmente accade.
Le immagini in diretta che i monitors televisivi restituiranno alla platea, sono state sfalsate con false informazioni date (in pasto al pubblico) da speakers che chiosano il tutto con parole destabilizzanti. Non a caso le ragioni per le quali Bruno è stato condannato all’espiazione, pur risultando vere e perciò più che corrette sul piano etico-morale, emergono ambiguamente artefatte dal tono coi quali gli stessi speakers commentano il fatto: provocheranno nello spettatore la netta impressione che proprio tra quelle ragioni (per quanto giuste esse siano) vi si cela l’infamità del reato commesso da Bruno. Reato per il quale non esiste altra condanna che quel cruento sacrificio espiatorio.
La metafora è: in un mondo in cui ognuno è complice di aver promosso nient’altro che crimini e reati d’ogni tipo, non può che risultare fuori luogo (e quindi autentico colpevole di reati mai commessi) un uomo che abbia agito in senso nettamente contrario alla norma.
Il vero colpevole dunque è Bruno: è lui stesso che ha commesso l’infausto reato di non aver accettato la normal condizione di vivere in una società assolutilizzata da leggi strutturate sulla legalizzazione dei crimini.
Infine, nel mentre che la carne di Bruno arderà tra le fiamme, ecco appartarsi in un luogo poco lungi da quel sadico bailamme di volgo assetato di eccitanti novità, un personaggio del popolo.
Egli, durante l’impudente baraonda, ha raccolto da terra un foglietto pieghettato, caduto dalle mani di Bruno.
Ora… s’apparecchia a declamare quell’ultimo messaggio di Bruno sopravvissuto a Bruno.