“Penso che un sogno così non ritorni mai più / mi dipingevo le mani e la faccia di blu
poi d’improvviso venivo dal vento rapito / e incominciavo a volare nel cielo infinito
volare oh oh / cantare oh oh oh oh”.
da “Nel blu, dipinto di blu” di Modugno e Migliacci, 1958
La moderna canzone d’autore italiana – a distinguerla per il suo intrinseco ed originale valore artistico dalla canzonetta commerciale, ossia da quella che Umberto Eco chiama “gastronomica” – non nasce in Italia, ma in Francia o in America, o, tutt’al più, come si avrà modo di precisare tra poco parlando di Modugno, nei dialetti di quello che era stato il Regno delle Due Sicilie.
Più complesso ancora indicare dunque un fatto o un luogo precisi da cui far partire lo sviluppo di quest’espressione artistica che nell’arco di circa un quarantennio ha modificato non solo il modo italiano di far canzoni ma anche – e in profondo – il nostro modo di esprimere e provare sentimenti.
Nondimeno, dovendo pragmaticamente scegliere una data non assoluta ma simbolica e di incidenza collettiva, non credo vi siano dubbi nell’indicare il 31 gennaio 1958 a Sanremo, quando “Volare” di Modugno vince il Festival, vende un milione di copie e spezza l’egemonia che un certo tipo di canzone melodica e “all’italiana” aveva fino ad allora imposto.
Per capire meglio questa affermazione è bene precisare cosa fosse l’atmosfera della canzone italiana degli anni Cinquanta, caratterizzata da un lato da un perenne tono enfatico e melodrammatico, dall’altro da una dimensione fortemente irreale ed evasiva in senso deteriore. Se, sul piano contenutistico, si deve dire che nella canzone sanremese abbondavano bianche mammine, femmine maliarde e perverse insieme a vecchi scarponi militari, e poi fiori e campane, un bric e brac sospeso tra Liala e Pitigrilli, per quel che riguarda poi l’impianto musicale va ricordato quel che scrisse nel 1956 Massimo Mila a proposito delle canzoni finaliste al Sanremo di quell’anno: “tutte le canzoni … sono apparentate da un tratto comune, il desiderio di sembrare una romanza di Puccini”, ossia dal tentativo di scimmiottare la grande tradizione melodrammatica italiana (oltre a Mila 1959, per un approfondimento cfr. almeno De Luigi 1980, p. 33).
Se questo il contesto generale – di quel che se ne differenziava parleremo ancora nei prossimi paragrafi – semplice e difficile a un tempo descrivere quel miracolo che fu “Volare”: essa infatti non è solo la canzone italiana più conosciuta dagli italiani e più venduta nel mondo, ma una vera esplosione di gioia sensuale, il diario metaforico e onirico di una grande fuga d’amore, di un viaggio al centro di una concretissima esperienza d’amore: volare è anche una metafora che richiama la felicità piena dell’amore e della sessualità.